Se il cuore è la rappresentazione anatomica dell'attività circolatoria, il cervello è l'esplicazione fisica di quale realtà funzionale?
C'è chi potrebbe considerarlo come il centro dei numerosi processi biochimici che con notevole complessità garantiscono la parola, la visione, il moto..Qualcun altro, in una visione puramente spiritualistica, potrebbe considerarlo come il mero involucro della nostra essenza divina, della nostra volatile anima.. Io ritengo, senza tante perifrasi e fastidiose elucubrazioni, che il cervello sia la parte anatomica della mente: l'ampia architettura psichica va perciò a coincidere con il freddo e analitico network cerebrale.
Si può considerare la definizione di una reale connessione tra mente e cervello il vero e grande quesito al quale le neuroscienze, dalle loro origini, cercano di trovare una valida e adeguata risposta. E sembra che importanti passi avanti si stiano facendo proprio in tale direzione. Si tratta di un connubio non facile da esplicare e da definire in maniera chiara: si tratta anzi di una diatriba che si accende secoli e secoli fa e che si concreta con l'impossibile legame tra res cogitans e res extensa individuato da Spinoza. Si tratta di un parallelismo coincidente: pensiero e estensione si concretano nella stessa realtà, sia materiale che cognitiva; nessuna delle due crea l'altra ossia non si può ridurre banalmente la mente al parto inconsapevole del cervello. Basta pensare al πάντα ῥεῖ (pánta rêi) ancora attuale di Eraclito: il tutto scorre di stampo greco, non deve essere banalizzato all'ovvio cambiamento che caratterizza l'esistenza umana ma si traduce anche in un ambito in cui il divenire è il naturale proliferare dell'essenza stessa che è uguale a sè stessa nella sua eterna e infinita ricchezza. E cosa è l'essenza più verace del nostro io se non la mente coscienziale che guida ciascuno di noi nelle sue esperienze? La mente ha la stessa realtà del cervello! Inscindibili queste componenti e inequivocabile il legame che esiste tra queste.
Superato questo scoglio, come fare a valutare la veridicità dell'esplicazione funzionale della mente, la coscienza? Molti direbbero che non c'è nulla di più importante della coscienza. Godiamo della bellezza di un tramonto invernale, del piacere di tornare a casa dopo un lungo viaggio, del calore di una carezza: la consapevolezza delle nostre sensazioni è al centro del nostro essere, se non avessimo accesso a questa meraviglia, saremmo più poveri e il mondo più banale.
Eppure per la scienza, e non solo, la natura della coscienza rimane un mistero: per dirla con il filosofo Thomas Nagel, semplicemente si tratta del ricercare la natura delle nostre sensazioni e di come valutare la coscienza nella sua concretezza. E' forse un quesito che, con la sua intangibilità e vaghezza, fa fatica a delinearsi in un contesto chiaro e delineato quale è quello imposto dal mondo in cui viviamo in cui si esalta in modo fenomenale la sola realtà visibile; tuttavia credo unica e degna di significato la ricerca, non tanto dei classici perchè, quanto piuttosto dei nuovi come che si impongono con forza nell'indagine senza fine per valutare il valore della nostra mente. Il come di cui voglio occuparmi ora cerca di analizzare le radici dell'identità della coscienza: come deve essere considerata, come fisica manifestazione di circuitazioni neuronali, come illusionaria rappresentazione del cervello in risposta a stimoli diversi oppure come l'opera d'arte più bella in cui artista e spettatore cooperano per la resa spettacolare della sua esposizione? Vi dimostrerò, prendendo ad esempio la teoria della mente di N.Humphrey (professore emerito di psicologia a Londra), come la nostra coscienza sia la vera protagonsita del manufatto artistico generato dall'evoluzione del sè attorno all'approccio sensoriale della realtà.
Partiamo nel nostro viaggio da un dubbio che nasce dalla penna dal biologo H. Allen Orr: cervello e neuroni hanno a che fare con la coscienza, ma come fanno dei meri oggetti come questi a dare origine al fenomeno, così stranamente diverso, dell'esperienza soggettiva e coscienziale? Chiaro che tale stranezza non appare come una facile matassa da dipanare nella comprensione dell'esatta esplicazione reale della coscienza, tuttavia non dobbiamo credere che, per la natura della materia, sia necessario partire dall'idea che tutto ciò che è associato alla coscienza sia impenetrabile e difficile. E' necessario, allora, partire da una definizione: Humphrey dichiara la coscienza come l'accesso introspettivo agli stati mentali. Parole mai più azzeccate furono dette! Pensiamoci. Quando osiamo fermarci nella frenesia delle nostre giornate, cerchiamo di estraniarci da ciò che ci circonda e riflettiamo sulle più svariate realtà: questa capacità di autoriflessione non fa altro che manifestare le modalità con le quali esocitiamo il nostro flusso cognitivo sul reale. Ciascuno di noi, quale soggetto della coscienza, è consapevole degli stati mentali (percezioni, desideri, ricordi..) solo nella misura in cui li conosce osservandoli nella propria mente. Ma siamo sicuri che l'io che permette la compenetrazione funzionale e valoriale di queste esplicazioni mentali sia unico e singolo? Forse ora, dopo anni di interazione con il mondo, il sè che percepisce, il sè che agisce e il sè che ricorda si sono fusi insieme grazie all'orchestrale direzione della nostra coscienza, abile ad arruolare e a unire le diverse porzioni dell'io impiegate nella corretta analisi della sensorialità reale; un'unità del sè che si pone come mezzo per garantire alla coscienza di essere foro interiore della mente nella sua intierezza, permettendo così a un pilota automatico ed intelligente di adoperare un controllo sistematico sui vari processi mentali: gli informatici lo definirebbero elaboratore, io lo chiamo io. La coscienza si trasforma nel più decorato dei palcoscenici in cui prende forma l'intera e complessa attività mentale. E ancora ricadiamo nell'assunto precedentemente chiarito dell'autoriflessione come base per l'apprezzamento veritiero del funzionamento della mente.
Se il quadro, finora, è risultato essere vagamente comprensibile al pari di un'intricata tela cubista, ora la realtà si complica se andiamo a ricercare quel peculiare come ci si sente di cui parlava Nagel. Humphrey ritiene che tale analisi alla ricerca del quid fenomenico sia da localizzare nel solo ambito delle sensazioni, nel mondo della percezione sensoriale: sensazioni dotate di una qualità che i filosofi chiamano qualia e che si traducono in vario modo a seconda della rappresentazione che vogliamo dare della coscienza. Se la valutiamo in un ambito meramente realisitico, i qualia sono interpretati letteralemente come mezzo per descrivere come il sè percepisce le diverse sfumature del reale; per gli illusionisti invece è il cervello che fornisce qualità specifiche al reale non dotato di intrinseche peculiarità fenomeniche: chi ha ragione? Come spesso accade e come Aristotele ben preannunciò ai suoi tempi, la verità sta nel mezzo.
Rilevo e faccio mia la riflessione di Humphrey sul valore della coscienza: persuasivo e altrettanto intrigante è considerare i qualia come opere d'arte e non come illusioni nè reali manifestazioni. E' più verace tale via a causa della forte analogia tra sensazioni e opere d'arte, perchè si sottolinea come l'ordinaria informazione proveniente dagli organi di senso sia trasformata e abbellita nel cammino che porta alla coscienza.
L'arte non è solo imitazione della realtà di natura ma anche un supplemento metafisico alla realtà di natura. F.Nietzsche ci permette così di valutare la coscienza come la forma d'arte più rivoluzionaria che, in continuo divenire, mai cade nel banale e sempre dà all'essenza quel motivo in più per apprezzare pienamente la realtà. Una realtà che spesso necessita di due punti di vista: cosiccome l'artista non è il solo a compiere l'atto della creazione perchè lo spettatore aggiunge il suo contributo, così anche l'architetto ultimo della nostra coscienza,il cervello, si rispecchia nell'essere anche l'osservatore privilegiato di tale realtà. Si chiude così ancora quel circolo, di cui sopra, che fa coincidere pienamente il cervello con la mente.
La valenza forse più inaspettata del valutare la coscienza, parto misterioso e affascinate della nostra mente, come opera d'arte è la componente similedonistica di stampo darwiniano. Mi spiego meglio. Se le sensazioni sono arte, l'artista non può essere semplicemente il singolo cervello ma deve identificarsi nelle forze evolutive della selezione naturale che hanno generato un cervello produttore di qualia. Ma se l'evoluzione ha premiato quei meccanismi atti alla sopravvivenza biologica, perchè dotare il cervello della capacità di creare una ricchezza di contenuti e ornamenti vari? Pensiamo al pavone: l'immensa coda che lo caratterizza non gli permette in alcun modo di volare ma anzi gli garantisce una compagna sicura: quasi come se la funzionale principale dell'arte, anche quella umana, sia quella di indurre l'osservatore ad amare l'artista. Ed ecco qua la novità: la funzione evolutiva dell'arte cerebrale è nientemeno che indurci a innamorarci di noi stessi e perciò di condividere tale amore con altri. Una sorta di traduzione filosofica della realtà cerebrale: se Seneca proponeva al cittadino di migliorare se stesso e condividere poi le sue conoscenze per accrescere la città, così anche nel nostro programma genetico sembra esservi inserito questa spinta edonistica ad apprezzare la personale rappresentazione del reale da condividere poi con chi, la nostra mente ritiene adatta/o a completarci per permetterci di poter apprezzare l'opera nella sua intierezza.
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