domenica 2 luglio 2023

Sono stanco

Sono stanco.

Questa volta sarò poco instagrammabile, poco foriero di pensierini da “stampa su tela” da appendere al muro della propria cameretta e senza hashtag motivazionali in grado di impattare nelle tendenze social.

No, niente di tutto questo.

 

Prima di buttarmi in queste righe-confessione ho riaperto il mio famigerato blog: non scrivo dal primo novembre scorso. Che vergogna.

Ma soprattutto, che stupido.

Quante volte ho declamato a gran voce i poteri magici del mettersi davanti a uno schermo bianco e buttare giù i propri pensieri.

Vero, da quasi due anni ho la fortuna più unica che rara che quello schermo bianco che accoglie senza limitazioni, con dolcezza e amore, tutte le mie impetuose cascate di pensieri, ha un nome e un cognome e due occhi del color della terra bagnata dalla pioggia, con venature ambrate e una fossetta sulla guancia destra che mi fa impazzire.

Lei ha il potere magico di trasformare una giornata insapore in momenti dal gusto indimenticabile.

 

Avevo cominciato a buttar giù questi pensieri in settimana. Poi mi sono fermato.

Li ho ripresi ieri, sabato, alla conclusione delle mie cicliche due settimane ininterrotte di lavoro.

Le ho detto, mentre condividevamo la colazione, che adoro quel momento del sabato mattino in cui, con la pancia piena, mi appoggio al muro freddo della cucina e guardo fuori dalla finestra.

Abbiamo la fortuna di vivere in un appartamento al quinto piano e Dio solo sa quanto amo vivere così in alto dove la brezza mattutina è più fresca e i tetti rosso sbiadito lasciano quindi spazio alle tinte dell’infinito del cielo.

Adoro quel momento perché, anche se sotto scorre impetuosa la vita frenetica del mondo, è impagabile godermi il tempo per fermarmi un attimo, attimo che scavalca i limiti temporali e così, pensare.

 

Certo, pensare è pericoloso.

Pensare ti sfinisce.

Pensare è, però, un forte atto di ribellione. 

 

Cerchi di ribellarti ai giorni che scorrono in fotocopia, ribellarti a sensazioni fastidiose che si insinuano là nel profondo, ribellarti all’idea che ho sempre odiato del ‘farsi vivere’ della vita e non viverla appieno.


In quest’ottica però le energie sono un poco ridotte. Sono stanco.

E la cosa che più mi fa incazzare è che non ha contorni chiari ciò che mi fa vivere quest’ultimo periodo. O forse si ed ho solo paura di dirlo ad alta voce ed infatti lo sussurro delicatamente all’orecchio di lei che, pazientemente e con delicatezza, mi accoglie quotidianamente.

 

C’è chi potrebbe rispondermi con la solita massima “ma sì dai, non ti preoccupare, è normale sentirsi così dopo un po', è umano”.

Ma vi siete mai resi conto della tristezza e della pochezza di affidarsi a queste cosìtantodeclamatemassime? Come se tutti i membri della truppa del genere umano siano in realtà unificati a vivere le stesse gioie e gli stessi dolori, le stesse sfide e le stesse fatiche e quindi, per ciascun momento esista una formuletta magica in grado di dare la risposta che minimizza il problema e pone un punto, debole e insignificante a mio avviso, a quel momento.

Che schifo vivere di massime e frasi già dette da altri!

Questo non allevia la mia stanchezza. Ovvio.

Anzi, forse mi logora di più.

Non sono qui per dare risposte: non ne ho per me, chi sono per prendervi in giro e dispensarvi massime.

Appunto.

 

La vita in fondo capita, senza ragione, senza colpa, semplicemente capita.

E mi sembra di essere uno spettatore inerme che si lascia subire da ciò che accade.

Non ovunque, ma là dove vivo la maggior parte delle mie giornate.

Che stia scemando l’idillio dell’inizio? Che al terzo anno avanzato del mio percorso di specializzazione compaiono domande scomode alle quali non voglio o forse ho paura rispondere? Che alcuni momenti di un futuro incerto mi spaventino?

In ogni caso, sono stanco.

Il cammino del quotidiano là in quel posticino, viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo: come il più freddo degli automi procedo, forse senza però davvero rendermene conto. Ecco però che ultimamente è sorto il perché e tutto sta evolvendo in una stanchezza colorata di stupore.

Difficile pensare di poter provare questi pensieri se leggessi il me di qualche anno fa, giustamente emozionato di fronte alla sua prima urgenza, alla sua prima craniotomia parasagittale, al primo approccio emotivo ad operare un cucciolo d’uomo..

Eppure, scontrarsi quotidianamente con la realtà, o meglio, con certe realtà e certe vite mi spegne un po'. Come posso essere davvero d’aiuto a chi ha veramente bisogno quando non riesco a esserlo per me stesso?

 

“E’ solo un lavoro, puoi anche viverlo meglio eh”; “Un po' meno peso dai, susu”.

Ah, lo sentite anche voi il puzzo nauseabondo delle solite laide massime?!

 

Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha sempre sottolineato il significato non indifferente di tutte le azioni che decidiamo di compiere e che, da bravi fans di un’epoca che fu, mi hanno sempre insegnato il valore ottenuto dal mix del carpe diem oraziano e del homo faber ipsius fortunae un po' più tardivo, storicamente parlando. Dal momento che sto vivendo ora, però, faccio fatica a fare appello anche alle risorse delle quali ho sempre avuto una buona riserva, risultato di momenti di vita impegnativi.

Ed è anche questo che, al netto totale, mi dà ulteriore rabbia.

Ma non riesco a reagire di violenza per la mia salvaguardia.

Perché sono stanco.

 

Ma è in quel posto lì che scemano le mie energie e quell’idillio a cui ho sempre fatto fede, mascherato da craniotomi e emorragie e idrocefali e fratture spinali e tanto altro, che si trasforma in una grigia e sfocata versione di sé.

 

E in tutto questo, l’unica certezza a cui mi appiglio è lei. Forse è egoistico. Anzi, senza forse: lo è sicuramente.

Ma avete presente quella persona nella vostra vita che vi fa sentire che esistete? Quella persona che sa cosa ti sta succedendo e cosa stai pensando, senza bisogno di dirlo?

Cadrò nell’ovvietà: potrete trovare o essere matchati nella specializzazione più incredibile che esista, potrete avere i migliori risultati agli esami…ma non sarà nulla se non avrete coraggio di guardarvi dentro e lasciarvi così salvare da chi vi ama per davvero.

Non ha senso vivere di maschere.

 

Al liceo non mi dispiaceva Pirandello.

 

Adoravo quando descriveva l’eterogeneità dell’uomo nella sua pochezza a scegliere di indossare una maschera diversa a seconda dell’occasione, non mostrando mai il vero sé, né al mondo ma soprattutto a se stesso per paura di non riconoscersi.

Io ho già commesso questo errore in passato, non poche volte. Da quasi due anni sono il fiero discepolo di un programma di disintossicazione da questo atteggiamento di falsità.

E, indipendentemente da ciò che sto vivendo ultimamente, questa è proprio la condotta vincente. Ovvio, da soli mica ci si arriva.

Io, al solito, ringrazio lei.

 

Sto deviando dal percorso tracciato qualche riga fa. La mia stanchezza che non ha nome forse si traduce nel rendersi conto dell’assenza della poesia nella realtà cruda di ogni giorno.

Certo, il mondo potrà fare anche a meno della poesia; ma io non sono il mondo.

Parlare con la moglie di un giovane adulto con una diagnosi di pochi mesi di vita per il tumore cerebrale più devastante, interfacciarsi con chi tuo coetaneo ha deciso di lanciarsi nel vuoto e non muoverà mai più le gambe, scambiare attimi con chi dovrà gestire il vecchio papà operato per un ematoma subdurale ma che deve occuparsi anche dei figli perché rimasto vedovo da poco, comunicare i dettagli di quell’approccio chirurgico accennando ai rischi tecnici per poi scoprire al risveglio che quello diventa il caso su 10mila ad avere avuto quella complicanza…

Dove può esistere qua la poesia?

Non permea sicuramente quei corridoi né quelle rettangolari aree piastrellate e fredde al piano -1.

 

Ma io ne ho bisogno.

Spasmodicamente.

 

E per questo, sapete, mi sentivo in colpa.

Anzi, anche tutt’ora, nonostante gli imperterriti e dolci tentativi di lei.

Come posso lamentarmi? Quando sono io che l’ho scelto! Non ho alcun diritto. Poesia, poesia.

Stai lavorando, Sergio. Come diremmo noi pratici e concreti bergamaschi: rampa fò da la crisi.

 

Si, vero. Ma non ci riesco.

E sono stanco. Tanto. 

 

Una cosa che non mi è mai successa in passato, nonostante i numerosi impegni e orari folli, è addormentarmi anche solo per poco nei pochi momenti liberi del pomeriggio. Ci credete che solo nell’ultima settimana, nei pomeriggi non estremamente impegnati in ospedale, ho dormito?!

E no, non è normale.

E no, non è perché dovevo riprendermi da chissà che tour de force lavorativo.

 

Valla a trovare tu la poesia in tutto questo.

Sicuramente lontano da quello che fino a poco tempo fa era produttore secondario di benessere nel mio quotidiano vivere.

 


Lei è poesia.

Lei me la garantisce.

 

Nel frattempo il mio sabato è evoluto dalla sedia in cucina, al divano, al letto dove ho vomitato questi ultimi pensieri.

Coraggioso tu che sei arrivato fin qua a leggermi. A sostenere il peso esistenzialista di uno che dovrebbe smetterla di farsi tutte queste paranoie, svegliarsi e andare avanti.

Vero, però ho sempre fatto così e ora non mi va più.

Non riesco più a sostenerlo.

 

Sono stanco e prima o poi un modo lo troverò.

Forse.