domenica 9 agosto 2015

Non possiamo agire, se non presupponiamo la nostra libertà. (J.Searle)

Agire è la concreta manifestazione del nostro essere.
Attraverso svariate e intricate formazioni circuitali, il nostro cervello è in grado di inviare in maniera più o meno automatica, segnali elettrici al midollo spinale che verranno poi tradotti a livello muscolare con una contrazione motoria specifica. Ma così semplice è lineare è la procedura?
Fino a decenni fa, neurofisiologi e accademici del settore credevano fermamente che l'origine del movimento fosse da identificare nella sola corteccia motoria primaria (Area 4 Brodmann, localizzata nella circonvoluzione prerolandica) in cui, attraverso l'attivazione di diversi pathway elettrochimici, il segnale venisse trasmesso attraverso il fascio piramidale ai motoneuroni spinali interessati all'integrazione funzionale motoria. Ma la realtà, come nella stragrande maggioranza degli episodi nell'esistenza, è davvero molto più articolata e arzigogolata di ciò che si pensa. Grazie all'avvento di fenomenali tecnologie, tra cui l'insostituibile risonanza magnetica funzionale che come un albero di natale evidenzia in fluorescenza le aree cerebrali protagoniste in specifici processi funzionali, si è rivelata un'importante verità: il movimento finale così come lo vediamo e di cui ne acquisiamo esperienza, deriva dall'attivazione ordinata di tre aree cerebrali, associativa parietale, premotoria e la già citata motoria primaria. Fin qua pare tutto normale e non così particolarmente intrigante: ma cerchiamo di analizzare meglio nel dettaglio il ruolo di queste porzioni di cervello. Infatti, come sempre, il cervello non agisce a caso e l'attivazione non sincrona di queste tre regioni è da identificarsi in tre diverse esplicazioni funzionali: il movimento deve essere pensato, organizzato e concretizzato. La velocità con la quale vengono condotte questi meccanismi è così intensa che non ci si accorge minimanente; prima il nostro subconscio esplica la volontà di effettuare un certo movimento, poi cerca di evidenziare le migliori strategie per poterlo concretizzare al meglio in quel determinato contesto ed infine, attraverso la più veloce delle trasmissioni che sfrutta il peculiare rivestimento mielinico delle fibre interessate, viene trasmessa l'intenzione motoria ai muscoli deputati a rendere concreto quella volontà. Ma, forse, fino a qua ancora nulla di stellare. Ma ecco che con gli esperimenti condotti negli anni Sessanta da due ricercatori tedeschi L. Deecke e HH.Kornhuber vi svelerò come, per l'ennesima volta, l'intricato complesso neurocerebrale applica certe potenzialità funzionali in modi tanto inspiegabili quanto interessantissimi. Preparatevi: circa 0.8 secondi prima che inizi l'attività eletttromiografica dei muscoli che fanno muovere il dito (ossia prima che ciascuno di noi veda il nostro dito muoversi), compare un'ampia e composita attivazione elettrica della corteccia cerebrale di entrambi i lobi parietali, composta da un potenziale di preparazione e da un potenziale premotorio che inizia a decrescere prima che il movimento abbia inizio!
Il suo esaurimento è contemporaneo alla comparsa di un'attivazione elettrica della corteccia cerebrale motoria (area 4), detta potenziale motorio, controlaterale al dito che si sta per muovere, che raggiunge il suo massimo durante il movimento. In poche parole, il nostro cervello ( o meglio le aree associative parietali) si attiva, senza che noi ce ne accorgiamo veramente, prima che effettivamente sia compiuto il movimento; la domanda che ne deriva pare quindi tanto ovvia quanto terrificante: siamo noi o qualcun altro che è deputato al compimento inconscio dell'attività motoria come mero mezzo per esplicare l'influenza che gli stimoli esterni hanno sulla nostra psiche?
Se consideriamo, per esempio, un movimento volontario si implica l'assunto filosofico secondo il quale abbia avuto origine da un'autonoma iniziativa dell'individuo. Ma è proprio qua il nocciolo della questione: grazie a questi esperimenti che sottolineano come il nostro cervello si attivi una frazione di secondo prima dell'effettivo movimento, ogni azione che compiamo è in realtà una banale e impersonale risposta a uno stimolo sensoriale, a un istinto o all'emergere di un ricordo, che esclude quindi la libera iniziativa del soggetto? Con gli strumenti della scienza non siamo forse dotati della capacità di rispondere a questo dubbio amletico, tuttavia è la filosofia, scomoda compagna di vita, che può tentare di raggiungere un compromesso in quanto io non sono assolutamente d'accordo nel considerare il nostro approccio concreto al mondo come a un mero parto della psiche che origina da un deterministico legame con istinti e ricordi piuttosto che una libera scelta, una manifestazione voluta del nostro libero arbitrio.
Per cercare di avere una visione più ampia possibile in modo da permetterci di prendere posizione da una parte o dall'altra, usiamo le parole di due illustri accademici riguardo la possibilità di evadere o meno dagli schemi preimpostati a livello neuronale per l'azione motoria
La prima personalità che vi propongo è il direttore del Max Plank Institute for Brain Research di Francoforte, il neurofisiologo Wolf Singer. In un'intervista rilasciata a L'Espresso il 19 agosto del 2004, rispondeva categorico e senza mezzi termini riguardo alla possibilità di un'integrazione del libero arbitrio con l'attività cerebrale: ''La scienza prova che comportamenti, sentimenti ed emozioni umane sono indotti da processi neuronali. Possiamo persino prevedere, quando osserviamo il cervello degli animali, il comportamento che essi adotteranno. Nel cervello dell'essere umano ci sono gli stessi neuroni e le stesse sostanze presenti negli animali. Aumenta solo il numero di cellule e la complessità delle connessioni neuronali. Tutto quel che pensiamo è il risultato di processi che vengono condizionati da moltissimi fattori: ormoni, neurotrasmettitori, connessioni sinaptiche per citarne solo alcuni, e proprio questi fattori determinano il comportamento di una persona. Il libero arbitrio è piuttosto uno spazio di possibilità. Ma ciò che ci induce a scegliere dipende dall'organizzazione del cervello, delle sue varie parti, da fattori come gli ormoni e altre sostanze. Nel nostro istituto a Francoforte abbiamo studiato come l'attivazione dei neuroni in risposta agli stimoli esterni si sincronizza. E i risultati mostrano che nel cervello non c'è un centro nel quale confluisca questa attività, un centro anatomico dove l'Io abbia completa percezione della sua esistenza. Ci illudiamo di decidere, in realtà le decisioni vengono già stabilite dal cervello. L’educazione è importante, il cervello, fino alla pubertà, ha un immenso potenziale di sviluppo. Scienziati e educatori devono cooperare, nel porre la massima attenzione ai primi anni di vita, affinché quelle connessioni, quelle strutture pronte per porre domande all'ambiente, ricevano risposte adeguate.'' Il manifesto più evidente di un duro e serrato determinismo che non lascia spazio a vaghe possibilità sulla validità dell'esistenza dell'atto libero.
Cerchiamo allora di proporre una visione alternativa sfruttando le parole del filosofo americano della mente e del linguaggio J. Searle che  fonda la libertà (discutendone) nella biologia. Nel suo libro La mente, edito da Cortina, dice così: ''Non possiamo disconoscere che tutti i nostri stati mentali sono causati da processi neurobiologici che si producono nel cervello. La filosofia sul libero arbitrio non riesce a conciliare la realtà naturale ed oggettiva con una mente soggettiva ed individuale. Che la mia soggettività e il libero arbitrio sia in ogni caso il prodotto di attività cerebrali. E’ possibile supporre però allo stato attuale della fisica e della neurobiologia, che vi sia una componente quantistica nella spiegazione della coscienza. Esiste, infatti, a livello quantistico un’insufficienza tra causa ed effetto. Ciò che accade nel passato di un sistema, non è sufficiente a determinare una precisa condizione nel futuro del sistema stesso, e questo lascia spazio alla potenzialità del caso. Quindi, anche alla libertà di scelta''.
Ponendo quindi queste due diverse posizioni, da che parte state voi? Ritenete che il nostro atto motorio da cui siamo partiti (e quindi forse anche l'intera esistenza) sia una cascata di reazioni che si susseguono, una mera concatenazione di eventi deterministici specchio dell'effetto dei sensi sulla psiche, oppure ritenete che, nonostante l'evidenza scientifica, non si possa comunque estromettere dal rapporto col mondo una nostra personale visione mediata dalle nostre scelte? A voi l'ardua impresa di trovare un compromesso.
Per quanto mi riguarda, ho deciso di appoggiare completamente il pensiero di Searle che, demonizzando chi considera il libero arbitrio come una vaga illusione, esorta a considerare il fondamentale ruolo delle scelte personali. Infatti, al livello dei piani superiori della mente abbiamo la coscienza, l'intenzionalità, le decisioni e le intenzioni. Al microlivello abbiamo i neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. Vi è una lacuna che non si riesce a ridurre a nulla di materiale. L’esistenza di questo gap, ci induce a ritenere che debba esistere un corrispettivo della lacuna anche a livello neurofisiologico. Ed è proprio questo che fa sì che l'agire dell'uomo non sia prodotto in maniera deterministica dall'insieme degli stati cerebrali antecedenti all'azione anche se non sappiamo perchè e come l’evoluzione ci abbia fornito di libero arbitrio.

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