domenica 23 agosto 2015

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. (D.Alighieri)

La vita, in quanto esserei umani su questo pianeta, ci è stata donata milioni di anni fa.
E cosa ne abbiamo fatto noi?
Come poter valorizzare la nostra permanenza , i nostri giorni, la nostra vita?
Tempo e conoscenza, conoscenza e tempo. La facoltà di poter legare indossolubilmente queste condizioni, garantisce ed evidenzia il nostro diritto a esistere.
La conoscenza si traduce in un percorso non immendiato nè di chiara definizione, come una vaga ed eterea impronta lasciata sulle dune di un caldo deserto: un momento prima c'è e mezzo secondo dopo svanisce. Cosa allora ne attesta l'avvenuta esistenza? Il tempo, quella frazione di secondo che aveva permesso all'orma di essere impressa sul terreno. E così siamo noi: è necessario abbandonare l'idea di definire l'unità come mezzo di misura per l'ente vivente e valorizzare il tempo come il collante vero in grado di dar valore completo sia al nostro esistere che alla conoscenza che introduciamo nei nostri giorni.
Gli uomini si considerano unici. Hanno basato l'intera teoria dell'esistenza sula loro unicità. Uno è la nostra unità di misura. Ma non è così. I sistemi sociali che abbiamo costituito sono un'abbozzo. 1+1=2. Questo abbiamo imparato. Ma 1 + 1 non ha mai fatto 2. Non esistono in realtà né numeri né lettere. Abbiamo codificato la nostra esistenza per ridurla a dimensione umana, per renderla comprensibile. Abbiamo creato una scala di misura così da dimenticare la sua natura insondabile.
(Dal film Lucy)

Non è un'idea facile da digerire. Per secoli e secoli l'uomo si è arrovellato nel vano tentativo di ricercare il perno su cui fare riferimento per tutte le questioni dell'umanità. Dalla scolastica filosofia teocentrica del medioevo alla visione rivoluzionaria dell'antropocentrismo rinascimentale così ben descritto da artisti e pensatori dell'epoca, Leonardo da Vinci in primis che con il suo uomo vitruviano poneva i fondamenti della valorizzazione dell'uomo come unità di misura anche geometrica cui fare riferimento per comprendere appieno i misteri dell'universo. Da quel momento in poi, si è radicata a fondo la concezione di imporre l'uomo come unità di misura e la conseguente necessità di modellare l'esistenza secondo questo bisogno, per cui ogni cosa che ci circonda è a misura d'uomo.
Ma allora, se l'uomo non è l'unità di misura e il mondo non è governato dalle leggi della 
 matematica, che cosa governa tutto? Ritorniamo all'esempio dell'impronta: il tempo da legittimità alla sua esistenza. Il tempo è la sola vera unità di misura. È la prova dell'esistenza della materia. Senza tempo noi non esistiamo.
Non si tratta tuttavia di sprecare il tempo che ci è concesso alla vanagloriosa ricerca di un motivo o di modelli attuabili alla valorizzazione dell'esistenza; senza voli pindarici alla ricerca di chissà che, il modo per rendere unica la nostra esistenza senza ridurci a esaltare noi stessi è a portata di mano: la conoscenza. E non si tratta del mero tentativo di arruffare informazioni varie e mischiarle indiscriminatamente in un calderone e aspettare passivi il risultato. Si tratta infatti di un processo molto sottile: non è conoscenza, ma amore per la conoscenza. Appassionato desiderio di sapere. Volontà di conoscere e apprendere consapevolmente i perchè del mondo e di ciò che è.
Questa passione gnoseologica contestualizzata nella necessaria valorizzazzione del tempo come unità di riferimento, ci permette di esaltare il mezzo per esprimere e comprendere questo binomio: il nostro cervello. Questa informe massa gelatinosa è dotata di connessioni sinaptiche, di collegamenti interneuronali che supera di gran lunga il vasto numero di stelle presenti nella nostra galassia: ma di questa infinità disponibilità di mezzi, siamo noi in grado di sfruttare in modo consapevole tutte le possibilità materiali che ci vengono concesse?
A causa di teorie pseudoscientifiche spesso avvalorate da prodotti editoriali o cinematografici ai quali le masse fanno gran riferimento (probabilmente perché fa leva sulla nostra sensazione che potremmo fare e imparare molte più cose, se solo ci applicassimo), è nata la credenza mai affermata dalle scienze, secondo la quale saremmo in grado di sfruttare solo il 10% delle nostre capacità cerebrali. Nata forse con le sperimentazioni che alcuni neurochirurghi fecero negli anni Trenta, tale credenza continua a spargersi a macchia d'olio tra la popolazione. Un eminente neuroscienziato, Barry Beyerstein (in Whence Cometh the Myth that We Only Use 10% of our Brains? in Sergio Della Sala (a cura di), Mind Myths: Exploring Popular Assumptions About the Mind and Brain, Wiley, 1999), ha proposto una serie di tesi secondo le quali risulta essere impossibile considerare il cervello non utilizzato completamente:
  1. Studi sui danni al cervello. Se, normalmente, il 90% del cervello fosse inutilizzato, eventuali danni in queste aree non avrebbero alcun effetto sull'individuo; al contrario, non esiste pressoché area del cervello che, se danneggiata, non infici anche le capacità dell'individuo: perfino piccoli danni possono produrre gravi effetti.
  2. Evoluzione. Il cervello è un apparato "enormemente dispendioso" per il nostro corpo in termini di consumo di ossigeno e di elementi nutritivi: pur avendo una massa pari a solo il 2% dell'intero corpo umano, assorbe il 20% del fabbisogno energetico di un essere umano. Se il 90% fosse davvero inutilizzato, allora l'uomo ricaverebbe un grande vantaggio in termini di sopravvivenza dal possedere un cervello molto più piccolo ed efficiente, per cui la selezione naturale avrebbe eliminato quella parte del cervello inutilizzata.
  3. Immagini di tomografie cerebrali. Tecnologie come la PET e la RMNf permettono di monitorare le attività del cervello, rivelando, ad esempio, che tutte le parti del cervello sono in attività anche durante il sonno; solo in caso di gravi danni cerebrali esistono parti del cervello non attive.
  4. Localizzazione delle funzioni. Sebbene il cervello si comporti come una singola massa, nel cervello esistono distinte aree per distinte funzioni; decenni di ricerche hanno permesso una mappatura completa e non sono state trovate aree del cervello alle quali non siano state associate delle funzioni precise.
  5. Analisi microstrutturale. Esistono metodi di indagine basati su misure microscopiche, realizzate con l'inserimento di un elettrodo nel cervello, che permettono di monitorare l'attività di piccolissimi gruppi di cellule (multi-unit microelectrode recording) o, addirittura, di un singolo neurone (single-unit microelectrode recording). Se davvero il 90% dei neuroni fosse inutilizzato, queste tecniche l'avrebbero già rivelato per via strumentale.
  6. Studi metabolici.
  7. Decadimento neuronale. Le cellule cerebrali non utilizzate tendono al decadimento; se il 90% del cervello fosse inutilizzato, una semplice autopsia rivelerebbe il decadimento del 90% delle cellule cerebrali.
Se siamo fisicamente preparati a sostenere la responsabilità dell'utilizzo massivo del cervello, perchè non ci gustiamo le prelibatezze che ci dona attraverso la metodica gestione del tempo atta alla beatitudine della conoscenza?
A.Einstein, mio grande idolo, in un articolo-intervista a Scientific American del 1950, proponeva così chiaramente la sua posizione riguardo la necessità della conoscenza.


Esiste una passione per la comprensione proprio come esiste una passione per la musica; è una passione molto comune nei bambini, ma che poi per la maggior parte degli adulti perde. senza di essa non ci sarebbero né la matematica né altre scienze o qualsiasi altra modalità per la scoperta del mondo. Più volte la passione per la comprensione ha condotto all'illusione che l'uomo sia in grado di comprendere razionalmente il mondo oggettivo, attraverso il pensiero puro, senza nessun fondamento empirico; in breve, attraverso la metafisica. Sono convinto che ogni teorico vero sia una sorta di metafisico addomesticato, indipendentemente da quanto possa immaginare di essere un puro 'positivista'. Il metafisico crede che il logicamente semplice sia anche reale. Il metafisico addomesticato crede che non tutto ciò che è logicamente semplice sia incorporato nella realtà esperita, ma che la totalità di tutta l'esperienza sensoriale possa essere 'compresa' sulla base di un sistema concettuale costruito su premesse di grande semplicità.Quindi l'idea teorica non nasce al di fuori e indipendentemente dall'esperienza; né può derivare dall'esperienza per puro procedimento logico. E' il prodotto di un atto creativo, della mente creativa. Una volta che l'idea teorica sia acquisita, è bene seguirla finché non si dimostra insostenibile. 


 Non dobbiamo spaventarci della grande possibilità che ci è stata donata in quanto essere umani, è necessario saper valutare l'importanza della conoscenza non come mera riserva informazionale ma come necessaria esplicazione del proprio io creativo, rendendo così il tempo, il mezzo attraverso il quale conoscere e porre le basi dell'esistenza.


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