domenica 4 luglio 2021

Apnea


Pare che nell’aprile 2021 si sia registrato il nuovo record mondiale di apnea: 24 minuti e 33 secondi, impresa riuscita ad un esperto sommozzatore croato.

Se fosse venuto in sala operatoria l’altro giorno, sono certo che avrebbe infranto il suo stesso primato.

 

Esagerato dite voi. 

Incredibilmente vero, vi assicuro io.

 

E questa volta non è stato trattenere il respiro, assistendo in maniera quasi inerte al procedere dell’intervento chirurgico.

Questa volta ha implicato un’apnea soggettiva per un ruolo di coprotagonista in una procedura delicata che aveva come scopo quello di ripristinare ciò che noi spesso diamo per scontato: alzarsi da un piano e camminare.

Un’operazione che si poneva fin da subito come una vera e propria sfida e che, per la solita congiunzione astrale mossa dal caso, è capitata nel giorno in cui io ero di turno come specializzando di sala operatoria. Questo implica, per i non addetti ai lavori, che ad operare eravamo io e lo strutturato di guardia. 

Ripeto: lo strutturato di guardia ed io.

Soli.

Io e lui, lui ed io.

 

Ok, credo di aver reso l’idea. Perdonatemi ma quando lo scrivo, si solidifica nella mia mente, ricordandomi che è stato tutto vero.

Perché sapete, tante volte la verità gioca a nascondino e non si concretizza senza che siamo noi a ‘fare tana’ e ricordarci di trasformarla in realtà.

 

“Ma non era mica la prima volta che scendevi in sala! Hai già operato con uno strutturato no? Quante storie per un intervento! Monotonia portami via…”

 

Se avete pensato a una di queste frasi, ve lo concedo.

Non mi sono spiegato sufficientemente bene.

L’intervento chirurgico in questione implicava, nel suo tempo centrale (ossia dopo la fase di apertura quando si è esposto il problema da risolvere), l’utilizzo del microscopio operatorio.

L’arnese che più rende questa, la chirurgia più fine e delicata in assoluto.

Il marchingegno in grado di rendere visibile l’infinitamente piccolo, di trasformare un dettaglio in un delicato problema da risolvere, da coagulare, da asportare.

 

Immaginatevi, per chi di voi non l’avesse mai visto, un microscopio montato su un braccio movibile e con almeno due paia di oculari in cui gli operatori si affacciano per poter guardare laggiù, attraverso la finestra dell’ingrandimento, verso il focus della procedura.

E vabbè, come se negli anni di università non avessi mai guardato in un paio di oculari di un microscopio: cosa vuoi che sia?

 

Vero, ma…c’è sempre un ma che rende questa disciplina spaventosamente affascinante.

Dovete pensare, non solo di passare tre quarti dell’intervento attaccati a queste due protuberanze ottiche senza permettervi di distogliere lo sguardo e rischiare di perdere il focus, ma soprattutto di utilizzare strumenti fini e delicati da introdurre in uno spazio di manovra di pochi centimetri che ingranditi, sembrano sì delle vallate, ma che in realtà sono minuscoli pertugi dove lavorare.

Ah già, e in tutto questo ricordatevi che se si sceglie di utilizzare il microscopio è perché ci troviamo nella necessità di intervenire direttamente o sul parenchima cerebrale o sul midollo spinale e le radici nervose. 

Ora, ritornate qualche riga più su, rileggete il perché dell’intervento e capirete dove eravamo e perché ero così leggermente agitato e sudato.

 

‘’Aspira di qui, certo c’è il midollo lì, non vuoi tranciarlo e creare un bel danno, vero Sergio?’’

 

Ok bene.

Queste sono state le parole che mi hanno dato il benvenuto.

 

Un benvenuto che sapeva di fuoco, che sapeva di iniziazione verso una pratica misteriosa.

Come se ‘muovi di lì, traziona di là, aspira ma non troppo’ fossero le parole in codice per introdurmi a dei segreti occulti ai più.

 

Tra delicati goffi tentativi di procedere nell’intervento, la costante era una.

Apnea. 

 

Dal greco: privazione, mancanza di respiro.

E no, non era involontaria.

Era necessaria.

 

Come se un respiro di troppo, o troppo lungo potesse in realtà compromettere l’equilibrio del focus al microscopio, o alterare la difficile posizione che avevo assunto con gli strumenti all’interno del sacco durale per evitare di danneggiare le strutture nervose che correvano di lì a pochi millimetri.

Ecco così: un’apnea misurabile in decimi di centrimetro.

Non come quelle che troverete sui libri dei guinnes dei primati, nulla a che vedere con le nuotate verso le profondità degli abissi con un sol respiro.

Qui lo sforzo meccanico si concretizzava in uno spazio incredibilmente minuto. Dove il benchè minimo movimento brusco o anche in parte spostato, avrebbe potuto creare danni irrecuperabili.

 

Forse dovrei andare a lezione da qualche sommozzatore, perché credo che questo stato di privazione d’aria andrà a braccetto con questo tipo di interventi, sarà il comune denominatore per tutte quelle volte che mi avvicinerò timoroso e con reverenza a quello strumento, creatore di portali verso un mondo infinitesimo.

 

C’è chi dice che, a differenza del sub che si immerge per guardarsi intorno, l’apneista lo fa per guardarsi dentro.

Credo che verità più assoluta non esista: anche se non circondato da coralli o fauna oceanica, la mia apnea non è risultata come una fase statica quanto piuttosto come un luogo, un corridoio vero e proprio, un mezzo di passaggio per accedere a un altrove.

 

Chi di noi non l’ha sperimentato.

Il contesto in cui vivere la propria apnea può assumere qualsiasi connotato. 

Per me è stato quell’anonimo giorno, al microscopio operatorio: è stato quell’interminabile procedere di minuti che si circondava dall’incedere dei bip ai monitor, dai colori di un midollo compresso che pian piano riacquistava la sua naturalezza, dal risveglio della paziente con il carico emotivo straripante, terrorizzato da come sarebbe stata la sua clinica nel post-operatorio, dal movimento in autonomia di quegli arti dapprima compromessi e ora sulla via della ripresa funzionale.

 

Un intervento chirurgico, anzi no, neurochirurgico, può regalarti tutto questo.

Ha il potere di stringerti in una morsa nella quale boccheggi, fatichi a riprendere un ritmo eupnoico; ma ha altresì modo la facoltà di indurti in quello stato di trance che, isolandoti da tutto il contorno, ti stimola a ripensarti, a interrogarti.

Quasi come se quell’apnea al sapore asettico di sala operatoria ti ricordasse che è necessario conquistarsi una vita fatta a propria misura e profondità.

 

Non puoi dimenticarti di respirare, ma puoi dimenticarti di respirare rumorosamente così da rimanere ancora una volta affascinato dal logico incedere di un dissettore e un aspiratore, abili strumenti per ripristinare l’equilibrio.

Rimanere ammaliati in un balletto senza fine tra un’incisione e un punto di seta 4.0 

Costantemente.

 

Il sacco durale è stato richiuso con punti staccati. Una PEEP ha escluso perdite liquorali dalla sutura. Posso chiudere per strati.

Arrivo alla cute, ultimo punto, ultimo sforzo prima di riemergere.

Respiro.

 

Almeno fino alla prossima puntata in apnea.