domenica 20 gennaio 2019

Sii ciò che desideri essere. Persegui gli scopi che desideri raggiungere. (S. Bambarén)

Cosa garantisce il raggiungimento di un equilibrio?
Cosa permette di ritenersi soddisfatti di ciò che si sta perseguendo?
Vale la pena stravolgere gli schemi mentali, le abitudini quelle 'dure a morire' per uno scopo più grande?

Vaneggiamenti di una fredda domenica invernale, ma sono queste le domande che una settimana fa a quest'ora, mi attanagliavano la mente, contorcendosi in un intricato labirinto senza apparente soluzione.

Lunedì scorso ho cominciato ufficialmente il mio internato di laurea nel reparto di Neurochirurgia dell'Ospedale San Gerardo di Monza, affiliato alla mia università. 
Un tirocinio come altri, qualcuno potrebbe dire.
Una proforma burocratica noiosa e necessaria, direbbe qualcun altro.
Un' avvincente partenza per un futuro che, seppur dalle tinte non chiare, so sarà stupendo, dico io.

Non vi nascondo che mettere per iscritto 'internato di laurea' mi agita, mi scatena sentimenti contrastanti come mai non ne ho provati prima: una gioia irrefrenabile sapere che manca meno di un anno a un percorso che pareva essere infinito, una paura paralizzante su quello che questo comporterà in termini di responsabilità e ipotesi di futuro ancora vaghe.

Ma direi di gustarci il momento.
 
Non prendiamoci troppo in giro però: lo sapete, sono un tipo piuttosto paranoico. 
Inizialmente ero davvero molto titubante a pensare di dover già frequentare sapendo di dover sostenere ancora i tre esami finali del corso che sono, per definizione, riassuntivi di tutto il ciclo di studi. 
Siamo in piena sessione invernale: quel periodo tanto odioso quanto necessario per tentare di superare gli esami, caratterizzato dal minor numero di distrazioni e contatti con il mondo, al di là della mia scrivania. 
E mi viene proposto di alterare questa ormai ben consolidata routine per andare in ospedale per un non ben ancora definito compito? No dai..che cavolo! So di essere molto limitato, se si esce dagli schemi organizzativi faccio molta fatica, si, provo a adattarmi però questo è troppo! Non ce la farò mai..

C'è però la questione 'forza propulsiva'! 
Mi spiego meglio.

Ritrovarsi a 24 anni a passare ancora giornate intere come uno studente liceale a studiare per cercare di superare l'ostacolo 'esame' è una situazione davvero oppressiva, sembra spesso fine a sé stessa, focalizzata all'elementare raggiungimento di voti stellari. 
Si perde, credo, il contesto in cui si stanno concretizzando questi sforzi. Viene quindi a mancare un pò di grinta nell'affrontare tutto questo..

Ma ecco che, passare del tempo tra il reparto e la sala operatoria di quello, che spero ardentemente, potrà essere il mio futuro, mi ha già fornito, a distanza di pochi giorni,  una forza indomita che non avrei mai immaginato!

Non che abbia sostenuto alcuno di questi esami, non ho cioè la dimostrazione scientifica che questo nuovo approccio organizzativo funzioni, ma sono sereno, felice di aver ritrovato una compagna che avevo perso di vista da un pò, una forza motrice il cui stimolo avevo in parte perso da un tempo non chiaro: la motivazione.

Una motivazione che può essere decifrata con l'incanto della clinica neurologica.

Essere in grado di collegare patologia - tipo di intervento neurochirurgico - neuroanatomia - clinica pre e post operatoria - neuroimaging  è meraviglioso. 
Ok, forse per l'imaging sono a un livello molto molto basilare ma grazie alla pazienza dei miei fratelli/sorelle maggiori (questo sono per me gli specializzandi che sto conoscendo sempre meglio) piano piano capirò bene la sede di cisterne, vasi e quant'altro.
Lo so, qualcuno potrebbe considerarli come i patetici discorsi di uno studentello che rimane affascinato da qualcosa di impalpabile o di non così entusiasmante ma alla fine, la migliore filosofia ha sempre sostenuto che il punto più elevato, più fresco e più compiuto della ragione è il meravigliarsi (F. Hadjadj). 

Se all'esame obiettivo neurologico di un paziente che sale in reparto dalla terapia intensiva dopo un intervento, apprezzi la presenza di un deficit del nervo facciale con spianamento della rima labiale, segno di Negro, lagoftalmo con segno di Bell (il segno di Bell ragazzi!) capisci che il VII è stato coinvolto in maniera importante nell'intervento; pensi allora al decorso di tale nervo e vedendo che l'incisione è sita posteriormente, pensi a un intervento di asportazione di un neurinoma dell'acustico che, spesso, dà come complicanza maggiore una lesione più o meno significativa del facciale in quanto adiacente al vestibolococleare, sopratutto in prossimità dell'angolo ponto cerebellare.
Per me sono piccole conquiste riuscire a risolvere tali rompicapi, e è estremamente affascinante riconoscere l'evidenza semeiologica di un danno anatomico ben preciso!

Senza dimenticare la sala operatoria.
La sala operatoria!!

Il vero perché alla domanda esistenziale del 'come mai sei più orientato a una branca chirurgica'.
Se vogliamo tradurre meraviglia con un luogo ben preciso non potrebbe essere altro posto, un luogo quasi magico in cui il frastuono del mondo esterno e di tutte le preoccupazioni che porta con sé, spariscono, per lasciare spazio alla più profonda concentrazione che si concretizza in fluidi e calcolati gesti atti a salvare una vita.
Ritornarci, dopo un bel pò di giorni, è stato quasi catartico: lo so, forse esagero e i più mi considereranno un esaltato, però è davvero quello che percepisco. In sala operatoria il tempo perde ogni significato: mentre si incide, si sutura e si salvano vite, l'orologio non ha importanza. 

10 minuti, 10 ore.

E anche in questo primo assaggio, ho avuto modo di assistere a interventi che sanno del fantascientifico. 
Dall'evacuazione di un ematoma cronico che ha rivelato purtroppo essere l'anticamera di una lesione neoplastica profonda all'emergenza della settimana che, a dispetto del 'solito' ematoma subdurale acuto, era dovuta alla presenza di un tumore profondo di 7cm x 6cm a livello parieto-temporale destro che creava un pericoloso aumento di pressione endocranica che stava evidenziandosi con un notevole shift delle strutture mediane e un sopore sempre più franco alla valutazione clinica.

E così è. 
La meraviglia tradotta a professione, a missione.
Ora come ora non potrei desiderare di meglio, anche se la vivo da spettatore (ma lo spettatore quello innamorato pazzo dello show, per capirci quello che rimane seduto in sala a vedere tutti i titoli di coda fino all'ultimo) mi sento parte di un miracolo che si rinnova ogni giorno. 
E questo mi dà lo stimolo giusto per affrontare, con la giusta carica, gli ultimi ostacoli.

Certo, in neurochirurgia, sopratutto con i grandi tumori, la sfida è spesso impari: si perde tanto quanto si vince. La chiave però, mi sembra di capire e di apprezzare, è non fallire.
E l'unico modo per fallire è non combattere. 
Perciò, Sergione, combatti finchè non puoi combattere più, anche perché è questo il vero equilibrio che andavi cercando, è qua che si gioca la partita.

Si, ci sono migliaia di motivi per cui dovrei smettere di credere, di impuntarmi su questa scelta che potrebbe apparire come parzialmente autodistruttiva: qualcuno rende spesso le cose difficili apposta, il cammino è disseminato di scogli
che paiono insormontabili, arriva un momento in cui diventa più che un semplice 'show di abilità e tecnica'.
E puoi fare quel passo avanti, oppure voltarti, andare via e ritornare mesto alla tua scrivania.

Potrei mollare, ma c'è un problema... è più forte di me, mi piace troppo.