martedì 18 febbraio 2020

Amigdaloippocampectomia: scioglilingua minimalista

Amigdaloippocampectomia.

Uno scioglilingua peggiore del potteriano balbettante bambocciona banda di babbuini.

Una tecnica chirurgica che nasconde tra le righe una devastante demolizione, non solo anatomica, forse dell’essere stesso. Ma che in realtà è il manifesto più vero di questa branca chirurgica.

La neurochirurgia è una disciplina che si vota al minimalismo. 

L’anima del minimalismo è espressa dalla sua declinazione in numerose sfaccettature dell’esistenza, come strumento per rimuovere il superfluo e focalizzare l’attenzione su ciò che conta.
Il minimalismo si traduce nell’arte tramite la necessità di ridurre la realtà, di enfatizzare l’oggettualità e la fisicità dell'opera, il tutto condito da una buona dose di antiespressività, impersonalità, freddezza emozionale. 
In linguistica il minimalismo è concentrato sulla sintassi. La musica minimalista si fonda sull’ostentata iterazione di brevi temi che si evolvono lentamente.
Insomma, ogni forma d’arte ha in questa filosofia, un ritorno alle origini, al recupero degli elementi basilari, senza ulteriori fronzoli e esagerate ampliazioni di contenuti. 
E questo è il minimalismo: dedizione all’essenziale.

E la neurochirurgia è forse la miglior portabandiera di questo approccio. Certo, la chirurgia moderna si sta focalizzando sempre di più al mini-invasivo, all’utilizzo delle tecnologie robotiche per poter limitare i danni, per garantire un recupero migliore al paziente, per esaltare il minimalistico senso dell’esistenza dell’oggi, anche in ambito chirurgico.

Tuttavia, la neurochirurgia ha nei suoi dogmi il minimalismo.
Provate a pensarci.

Brain Line Drawing
{Painting Valley}
Nella colectomia eseguita per un carcinoma del colon si ha la necessità di asportare un margine libero, ossia non recidere il colon solo nella porzione malata ma anche qualche centimetro di tessuto sano per evitare che ci sia una facile ripresa di malattia.
Ora traslate questo concetto nel parenchima cerebrale: se c’è una lesione espansiva nel lobo frontale, ampliate i margini di resezione così oltre a provocare un possibile danno nella zona colpita che però avevate messo in conto, danneggiate anche altre strutture adiacenti?!
Direi proprio di no.



Il cervello è un continuo. Il cervello è essenza.

Non puoi permetterti di adottare un principio diverso se non quello dell’essenziale minimalismo: asporta il tumore, la lesione colpevole, senza permetterti in alcun modo di oltrepassare i limiti imposti e di indurre rovinose conseguenze.
Focalizzati su ciò che conta, rimuovi le distrazioni e concentrati solo su ciò che produce significato, su ciò che produce danno.

Praticamente un dogma di pratica attuazione.

Puntualmente, ho potuto assistere a un cambio di rotta integrale, a una vera rivoluzione copernicana a colpi di bisturi elettrico e pinza per coagulare.  
Copernico si propose di indagare se i movimenti celesti non si potessero descrivere meglio facendo star fermi gli astri e ruotare l’osservatore, e così anche Kant si mosse dall’ipotesi che siano gli oggetti a doversi regolare sulla nostra conoscenza (Critica della ragion pura, B XVI).
Quindi anche noi, lasciamoci travolgere da quest’aria di cambiamento, mettiamo in un angolino quella definizione minimalista e abbracciamo una temporanea rivoluzione che fa rima con amigdaloippocampectomia.

Chiudete gli occhi.
Lo sentite? È il frastuono silenzioso di una vita che lotta per rimanere. Per garantirsi ancora un posto in questo fragile mondo. 
Non dimenticatelo, sarà il nostro compagno.

Ottobre del sesto anno. 
Si ricominciano le lezioni, per l’ultima volta finalmente! Nel frattempo, anche ultimo giro di tirocini formativi e frequenza del reparto di neurochirurgia per la tesi che riesco a ritagliare solo in qualche sabato o pochi giorni in settimana.
Però quel sabato me lo ricordo.

Un giorno come tanti, per me.
Un giorno devastante come pochi, per lei.

Con lo specializzando di turno sto svolgendo il giro visite nella terapia intensiva neurochirurgica, dove i pazienti che hanno subito un intervento vengono monitorati attentamente dagli anestesisti e poi trasferiti presso il nostro reparto, una volta superata la fase di acuzie.

Esame obiettivo neurologico invariato. 
“E’ inutile che ti perdi via a fare una valutazione neurologica completa, tanto ci sono gli anestesisti che ti avvisano se qualcosa non va per il verso giusto”.
Sante parole dello specializzando.
Esame obiettivo neurologico invariato.

Stiamo per allontanarci da quel coacervo di bip e fili colorati che noto una paziente senza alcuna medicazione a livello cranico.
“Molto strano – mi dico tra me e me – se vengono dalla sala operatoria, perché questa non ha nulla?” 
Con il mio solito fare da giovane marmotta curiosa, interrogo lo specializzando che, imbarazzato, sembra non riuscire a darmi una risposta convincente.
Ecco allora che l’anestesista (Dr. K) accorre in aiuto e, pazientemente, ci spiega.

Si tratta di una giovane donna (M.) trasferita da un ospedale di provincia nel reparto di Medicina del nostro ospedale, per degli accertamenti per iperpiressia persistente da 72 ore in leucopenia e incremento di indici di flogosi, responsiva a antibioticoterapia empirica. Imaging di base (RX torace e TC addome) negativo. 
Tuttavia, nel giro di poche ore la situazione è andata degenerando: improvvisa insorgenza di catatonia, crisi epilettiche subentrati solo inizialmente responsive a terapia anticomiziale a dosaggio progressivamente crescente. Crisi che il giorno successivo si sono trasformate in stato di male epilettico con necessità di intubazione orotracheale e passaggio endovena della terapia antiepilettica. Veniva perciò trasferita in TINCH per competenza dove eseguiva una serie di indagini radiologiche e microbiologiche alla ricerca di un potenziale responsabile di quell’improvviso peggioramento.

A questo punto il Dr. K sospira. 
Un sospiro che suona come un’invocazione di aiuto.
Con un velo di amara tristezza ci guarda profondamente nell’anima come se avesse voluto strapparci dal profondo qualche conoscenza per poter trovare una risposta al difficile quesito riguardo alla salute della giovane paziente.
Impietosamente ci mostra la cartella clinica e il lungo elenco di indagini eseguite.

Un’interminabile lista, una terribile lista di buchi nell’acqua.
TC encefalo, RMN encefalo: negative.
Esame del liquor da rachicentesi: negativo per infezioni.
Esami colturali: negativi.
Antigene urinario pneumococco/legionella: negativo.
PCR per infezioni virali: negativi.
Ripetute ricerche per autoanticorpi vs NMDA: negativi.
Indagini molecolari per porfiria: negativi.
TC TotalBody, PET, Aspirato midollare: negativi.

Negativo.

Più leggevo i numerosi esami eseguiti, più sentivo crescere un’ansia quasi devastante. Mi sentivo impotente. E in tutto questo il Dr. K che continuava a cercare il nostro sguardo come se potessimo trovare quel dettaglio che magari gli era sfuggito e trovare quindi la soluzione.

Non è una puntata di Dr. House. Nonostante i numerosi esami eseguiti e le altrettanto copiose domande rivolte alla famiglia della paziente, non era stata individuata la chiave di volta, l’algoritmo giusto per decriptare il problema.

Ecco il Dr. K che mi scuote e mi fa tornare alla realtà. “Ad oggi M. è in profonda sedazione plurifarmacologica per stato di male epilettico convulsivo super refrattario con Propofol, Ketamina, Midazolam, Tiopental sodico, Isofluorano oltre alla terapia anticomiziale con Lacosamide, Levetiracetam, Lorazepam, Perampanel, Acido valproico. Il tutto dopo aver provato ogni terapia per tutte le possibili eziologie avanzate: cortisone a alto dosaggio (2cicli), plasmaferesi, immunoglobuline endovena, dieta chetogenica, arginato di ematina”.

Insomma, in poche parole, la vita di M. è letteralmente appesa a un filo. Sono stati provati tutti i presidi farmacologici possibili ma lo stato epilettico persiste.

Inesorabile.
Crudele.

Ci sarebbe forse un’ultima direzione da intraprendere.
Definitiva.
Senza biglietto di ritorno.

I macchinari dietro M. cominciano a emettere inquietanti bip a una velocità inusuale mentre vengono sparate su un rotolo di carta una serie di onde aguzze dall’EEG che non fanno presagire nulla di buono.

Vedo lo specializzando parlottare con Dr.K con fare molto animato. “No, assolutamente! È una donna giovane, ha ancora la possibilità di uscirne senza passare da lì. Credi? Non lo so. Ok, chiamiamolo”.
Con un’occhiata di intesa lo specializzando mi fa intendere che sta per succedere qualcosa di grosso, veramente grosso.

Attendo, nel mio angolino.
Non ci sto capendo nulla.

Nel giro di pochi minuti ecco fare la sua comparsa il Prof. J, uno dei neurochirurghi dell’ospedale, uno dei migliori, in assoluto.
Lo sento discutere dapprima con lo specializzando e poi con l’equipe degli anestesisti.
“Cosa aspettiamo per un’amigdaloippocampectomia?! – tuona il Dr. J – non c’è tempo da perdere, non possiamo aspettare! Sergio, seguimi.”

Erano le 13:20. Mi ricordo bene perché a metà mattinata, vedendo che non stava succedendo nulla, avevo organizzato un pomeriggio al campetto con gli amici e avevo posto l’appuntamento alle 14.

Niente campetto.
Sala operatoria.

In un rapido turbinio di movimenti precisi, anonimi figuri azzurro vestiti, M. si ritrova sul tavolo operatorio. 
Prof J. e lo specializzando sono lavati.
M. è sotto anestesia generale.
“Bisturi” urla il Prof.
14:10. Ora dell’incisione.

Da lì ricordi confusi e vividi allo stesso tempo.

Incisione fronto-temporale sinistra curvilinea. Si scolpisce un lembo craniotomico con un foro di trapano posteriore e passaggio di craniotomo. Apertura durale con cerniera anteriore e sua appensione circonferenziale.
Ecografia intraoperatoria con evidenza di un’iperecogenicità a livello delle strutture amigdaloippocampali: ecco scovato il focus epilettogeno!

Adesso, mentre con la sonda ecografica sondano il parenchima cerebrale, sto capendo o almeno credo di capire. La terapia farmacologica non ha garantito la risoluzione dello stato epilettico super-refrattario né un suo equilibrio. L’unica soluzione, si, quella senza via di ritorno, è asportare quello che epidemiologicamente è la sede più frequente dell’insorgenza di crisi epilettiche: il lobo temporale con ampliamento alle strutture amigdaloippocampali per garantire un risultato efficace.

Aspetta un attimo.
Stiamo parlando di exeresi di una parte enorme di cervello?!
SIAMO IMPAZZITI?! Dove è finito quello squisito minimalistico approccio che fa della neurochirurgia la chirurgia più nobile e delicata?

Torniamo là, a quel sabato, a quello straziante urlo silenzioso, a quella vita che lottava con tutte le sue ultime forze.

Riconosciuto il focus epilettogeno, si passa alla fase microchirurgica. Con l’ausilio del microscopio, si asporta en bloc la punta del lobo temporale a circa 4 cm dal polo fino alle strutture mesiali.
Si procede quindi al reperage del corno temporale la cui parete laterale viene aperta per circa 2 cm. Si procede quindi ad asportare en bloc la testa dell'ippocampo. Si arriva per via subpiale a suggere le circonvoluzioni ventrali al margine libero del tentorio e ad evidenziare il mesencefalo. 
 
Lobectomia temporale con amigdaloippocampectomia
{Journal of Neurosurgery, 119, 2013}
Tutto d’un fiato.
Tutto in apnea.

Si effettua una riverifica intraoperatoria con ecografia. Il prof J guarda soddisfatto il monitor: non ci sono ipercaptazioni, non c’è più alcuna evidenza di focolai epilettogeni.

22:35

8 ore e mezza di intervento.
Un intervento che ha completamente sovvertito quelli che potevano essere i miei preconcetti.
Ancora non ci credevo (e neanche ora, vi assicuro) dell’impatto demolitivo di un intervento del genere: non stiamo parlando di sezionare un po' più di colon, stiamo parlando di asportare una sede voluminosa di cervello, una porzione dell’anima di M.

Si, ma quale è il prezzo? Garantire una via d’uscita.
Definitivamente.
Meravigliosamente.

Vi chiederete come è finita con M.
Ebbene, dopo quel pomeriggio, sono ritornato alle mie attività quotidiane e il sabato successivo sono tornato e al giro visite in TINCH mi aspettavo di ritrovare M. che pian piano recuperava.

Non ci sono molti letti in terapia intensiva.
Non la vedo.
“Le avranno cambiato posto, lo fanno spesso”. Chiedo all’anestesista di turno.
“Non c’è più”.

Quell’urlo si è spento nell’ombra.

“Dopo l’intervento sembrava essere migliorata, dopo 48 ore vi è stato un progressivo peggioramento con la ripresa dello stato di male, complicato da una sepsi polimicrobica multiresistente ed insufficienza d’organo, che l’ha portata via”.

Non sempre si vince, anzi. Il fallimento è più frequente di quanto possa sembrare.
Pur con la forza impattante e demolitiva dell’intervento non posso che pensare a quella definizione iniziale, a quel minimalismo esistenziale.
Anche perché ora, più che mai, mi torna utile.
Ora in questo vortice di sensazioni torna prepotente la base di quel pensiero: concentrati, focalizzati su quello che davvero conta, elimina il superfluo. 
E’ forse questo il senso vero del minimalismo neuroapplicato? Non tanto una tecnica chirurgica minimale quanto piuttosto un’approccio focalizzato ai problemi quotidiani, senza distrazioni assolute.
Ora più che mai quella frase fatta ‘ è stato fatto tutto il possibile’ acquisisce se possibile, un senso ancora più profondo.

Amigdaloippocampectomia.
Il devastante minimalismo nel perseguire lo scopo, indipendentemente da tutto e tutti: garantire una via d’uscita.
Con tutto te stesso.
Con tutte le tue forze.

Amigdaloippocampectomia.

martedì 4 febbraio 2020

Degenerazione walleriana

Degenerazione walleriana.

Fenomeni degenerativi che interessano la fibra nervosa in seguito all'interruzione della sua continuità con il corpo cellulare con conseguente riassorbimento del segmento distale del nervo stesso allorchè sia stato sezionato in tutto il suo spessore.

Avete mai riflettuto su quanto possa essere fragile un nervo periferico?

Un trauma, di entità più o meno intensa, e il nervo perde la sua continuità.
Non va incontro a morte cellulare, ma si ha appunto una compromissione della parte distale al traumatismo che coinvolgerà anche la porzione prossimale nel caso in cui non intervenga un processo di rigenerazione.

Degenerazione walleriana.

Il nervo è l’unico componente del corpo umano che reagisce in questo modo davanti a un evento traumatico, come se non volesse davvero abbandonarsi all’inevitabile esito di compromettersi definitivamente, come se volesse comunque darsi una possibilità, di poter sfruttare qualsiasi chances che l’organismo gli propone per sopravvivere.

La degenerazione walleriana potrebbe essere la parola fine alle possibilità di riscatto del nervo così come aprire la speranza di una rigenerazione fattibile solo se le guaine esterne al nervo rimangono integre.


È un po' come l’essere umano. 

Sottoposto a urti d’impatto variabile, spesso rifiuta di andare incontro ad un’inesorabile resa, quanto piuttosto accetta il compromesso di una degenerazione walleriana di alcune sue parti con la porta sempre aperta ad una rigenerazione redentrice piuttosto che abbandonarsi completamente all’impossibilità di recupero.

Con gennaio ho concluso il mio ultimo mese di tirocinio post laurea in previsione dell’esame di abilitazione che sosterrò a fine febbraio.
Ho frequentato l’ambulatorio di un medico di medicina generale.
Estremamente eccitante al pari della precedente esperienza in chirurgia dei trapianti?
Curiosa e intrigante come il mese di novembre nel reparto di Malattie Infettive?

No, direi di no.
Non sono proprio gli aggettivi migliori per etichettare questo gennaio insolitamente soleggiato passato nel mio cantuccio dietro una scrivania.

Tuttavia, ancora una volta, ho dovuto ricredermi. 

Umanamente prezioso. 
Emotivamente ricco.
Al di là dell’ovvio, al di là del prevedibile.

Nella noiosa iterazione di pratiche burocratiche, rimedi per il mal di gola, ricette per visite specialistiche e auscultazioni di bronchiti stagionali, sono riuscito a trascendere la quotidianità scandita da orari d’ufficio ai quali non ero per nulla abituato.

Scavalcare queste note di facciata per carpire il senso vero della medicina di base, quel senso che dovrebbe essere comune a tutte le sfaccettature della medicina ma che talvolta viene in parte o completamente eclissato in favore di un approccio più specialistico.

Sto parlando della cura del paziente.

Dal latino, cura. Derivato dalla radice ku-/kav- osservare. Da confrontare con il sanscrito kavi, saggio.

La cura è responsabilità. 
La responsabilità che segue l'osservazione. Che sia una terapia medica, una preoccupazione, o un accudire il progetto di una vita altrui.
La cura è responsabilità.
In effetti sembra che sia il lato attivo, il paradigma dell’umanità stessa, di un’umanità salda nel suo più profondo essere, un’umanità non fatua, non impalpabile, ma concreta. 

Riconoscere il bisogno di chi si siede dall’altro lato della scrivania.
Che ti guarda con occhi imploranti, che nasconde nella richiesta di un analgesico più forte del FANS di turno una necessaria e urgente impellenza di parlare con qualcuno per poter trovare un aiuto contro il dolore che sia più incisivo, che non permetta di arrendersi.
Hai il dovere morale, la responsabilità di incrociare questi sguardi.

Degenerazione walleriana.

Ho avuto modo, ho avuto la fortuna di osservare l’umanità più fragile, più autentica.

Negli occhi di una giovane mamma disperata per il figlio cocainomane.
Negli occhi fieri ma velati da lacrime quasi invisibili di un anziano vedovo, spaventato dalla solitudine.
Negli occhi terrorizzati di una neomamma immigrata, preoccupata dalla tosse persistente del neonato figlioletto.

Negli occhi coraggiosi, capaci di darsi un margine per rigenerarsi.

Le lesioni neuroaprassiche sono quelle in cui il danno colpisce specificatamente il rivestimento mielinico delle cellule di Schwann mentre viene preservata sia la continuità assonale che le altre guaine del nervo.
Clinicamente e strumentalmente la conduzione nervosa è rallentata o assente, sebbene essa sia preservata prossimalmente e distalmente alla lesione. Queste lesioni sono generalmente localizzate e rappresentano il grado più lieve di lesione nervosa. Esse sono reversibili, con pieno recupero della funzione che solitamente si verifica entro settimane o alcuni mesi dal trauma.


È la storia di Gino, vedovo da 3 anni, che dissimula la solitudine del suo piccolo appartamento in un vecchio condominio con numerose attività di volontariato per la parrocchia, per il gruppo locale degli Alpini, per i nipotini da accompagnare a scuola e al pallone. Venire dal medico, quindi, è un modo come un altro per ritrovare una faccia amica, per poter sì descrivere quella tosse fastidiosa che non lo fa dormire la notte, ma sopratutto per poter ricevere un sorriso, un segno di umana vicinanza.
Nonostante tutto.
La conduzione nervosa è rallentata, il danno c’è. Ma le possibilità di riscatto ci sono, la lesione non ha compromesso integralmente la capacità di condurre.


Le lesioni assonotmesiche sono più severe e sono caratterizzate da una interruzione degli assoni con preservazione delle guaine più esterne (endonervio, perinervio ed epinervio). Si verifica una degenerazione walleriana diretta ed il recupero è legato al processo rigenerativo assonale. Il recupero è completo anche se i processi rigenerativi sono lenti (circa 1 mm al giorno con ampie variabilità da soggetto a soggetto a seconda dell'età e dello stato generale di salute) e legati alla distanza tra la sede del trauma e quella dell'attività del nervo.

È la storia di Amina, neomamma senegalese, spaventata del malanno del suo piccolo. Ne ha subite troppe e fidarsi del parere di un quasi sconosciuto dietro una scrivania, non è immediato, non è facile.
Il recupero è legato al processo rigenerativo assonale, completo anche se molto lento.
Saranno le parole del medico, il suo modo di porsi, professionale e amichevole, che potranno forse fare breccia nelle imponenti difese che Amina ha creato attorno a sé per quella lesione che le ha tolto la facoltà di essere serenamente sé stessa e poter così condurre liberamente.
Recupero lento, ma completo. Le parole del medico si traducono in consigli che accetta di buon grado, perché sa che così facendo, suo figlio potrà guarire.

Micrografie fluorescenti (100x) della degenerazione 
walleriana nei nervi periferici.
 Sx è prossimale alla lesione, dx è distale. 
A e B: 37 ore dopo il taglio. C e D: 40 ore dopo il trauma. 
E e F: 42 ore dopo il taglio. G e H: 44 ore dopo il trauma.
Le lesioni neurotmesiche rappresentano il grado più severo di lesione di un nervo periferico. Queste lesioni sono ulteriormente suddivise a seconda se è stato leso l'endonervio (3º grado), oppure l'endonervio e il perinervio (4º grado) oppure l'interruzione è stata totale (5º grado). In questi casi la rigenerazione spontanea è possibile (nel 3º grado) ma improbabile a causa dei fenomeni cicatriziali che avvengono all'interno dell'epinervio nei primi due gradi di neurotmesi, e impossibile nell'ultimo grado. Queste lesioni perciò richiedono una
riparazione chirurgica, che deve essere effettuata in tempi rapidi anche se non in urgenza e questo per evitare che insorga la degenerazione degli assoni a monte del trauma e al conseguente disfacimento del neurone.



È la tragica vicenda di Fiorenza che vede il suo unico figlio 23enne, di belle speranze, nella vorticosa spirale della tossicodipendenza, orrida bestia che trascina e rovina anche il più forte degli esseri umani. 
È una lesione netta, grave, quasi irrimediabile. Il nervo prova a risolvere il problema da solo, ci tenta in tutti i modi, ma non sembra esistere alcuno spiraglio per potersi rigenerare. L’unica possibilità è aspettare l’intervento del chirurgo, aspettare l’intervento dello specialista che potrebbe apportare con urgenza e con rapida professionalità un aiuto insperato per il ripristino della funzione.
Si, le cicatrici saranno inevitabili ma la capacità di condurre potrebbe essere garantita. Ed è così che Fiorenza ha trovato, tramite il medico di base, una realtà comunitaria che avrebbe potuto accettare il figlio già dall’indomani, individuando così in questa associazione, il proprio chirurgo che avrebbe provato a riallacciare i frammenti della lesione.

C’è sempre uno speranzoso barlume al traumatismo, una via d’uscita per la degenerazione walleriana, peculiare e altrettanto inevitabile.

Assaporare la medicina generale mi ha donato questo. 
Un regalo gratuito, tanto inaspettato quanto unico.
Interfacciarsi con la profondità dell’uomo.
Fragile. 
Inequivocabile.
Granitica.
Enigmatica.

È come trovare il modo d’andare fuori misura nella misura, di garantire liceità all’umana empatia fornendo sempre la possibilità di individuare nella misura del proprio ruolo il mezzo per favorire la rigenerazione dal traumatismo.

Sconfiggi la degenerazione walleriana, anche nel tuo piccolo.
Non importa il grado della lesione, un modo per ricomporsi esiste.
Dentro di te, vicino a te.