giovedì 7 settembre 2017

Nessun uomo è un'isola, intero in sé stesso. (J.Donne)

Ieri sera, facendo un lento e noioso zapping per i canali mi sono imbattuto su una prima visione di cui avevo sentito parlare: Passengers, film del 2016 con C.Pratt e J.Lawrence.
Nel bel mezzo del loro sonno criogenico durante un viaggio interstellare dalla Terra a un nuovo pianeta, vengono svegliati con 90 anni di anticipo. Il film ruota attorno al loro disperato e ostinato tentativo di riparare le loro camere d'ibernazione per poter riprendere il sonno.
Non è un post spoilerante il film, quindi non voglio aggiungere altro se non che, secondo me, merita di essere visto.

Quindi?
Bè, il film ha funzionato da combustibile per la mia caotica industria di pensieri.


E' la figura interpretata da C.Pratt che mi ha fatto pensare a un Robinson Crusoe 2.0, versione millenial.
E da lì ho cominciato a pensare. Ad arrovellarmi su come, in realtà, la solitudine, ricercata spasmodicamente o subita involontariamente, sia patrimonio comune di tutti in maniera più o meno consapevole.

E' una morsa.
Stringe al punto giusto tale da non lasciare molto scampo.
Come le trappole più complesse, contiene però anche la chiave per poter essere resa innocua.
Ma che paura rimanere completamente soli.
E questa paura vale per chi invece la ricerca? Da cosa scappi per volerti isolare?


Mi sono informato: dall'archivio de Le Scienze (l'italiano Scientific American) ho scovato un articolo che descrive di uno studio che suggerisce la possibilità che la solitudine sia influenzata, in una sorta di circolo vizioso, da una ridotta risposta dello striato ventrale (componente sottocorticale atta alla regolazione del movimento e a diversi processi cognitivi sostenuti da stimoli associati alla ricompensa, ma anche stimoli da avversione, nuovi, inattesi o intensi) alla ricompensa sociale.La ricerca, diretta da John Cacioppo e Jean Decety, è la prima a usare la fMRI per studiare le connessioni fra isolamento sociale, percepito come solitudine, e attività cerebrale. Combinando le scansioni fMRI con dati relativi al comportamento sociale, i ricercatori hanno scoperto che lo striato ventrale è molto più attivo nei soggetti non isolati quando essi osservano immagini di persone in in una situazione piacevole. Per contro, la giunzione temporo-parietale, una regione associata all'assunzione del punto di vista di un altro, è molto meno attiva fra le persone isolate quando osservano persone in situazioni spiacevoli.
"Considerati i loro sentimenti di isolamento sociale, i soggetti soli possono essere portati a trovare una consolazione relativa in una ricompensa non sociale”, ha osservato John Cacioppo. Lo striato ventrale, una struttura centrale per l'apprendimento, è attivato da ricompense sia primarie, come il cibo, sia secondarie, come i soldi, ma anche da sentimenti di stima sociale e di amore.
Anche se è plausibile che la solitudine influenzi l'attività cerebrale, i ricercatori ipotizzano che l'attività dello striato ventrale possa a sua volta predisporre ai sentimenti di solitudine: "Lo studio suggerisce l'interessante possibilità che la solitudine possa derivare da una ridotta attività di ricompensa nello striato ventrale in risposta alla ricompensa sociale”, ha detto Decety


Nel dettaglio, ricercatori americani descrivono come l'isolamento sociale influisca sul comportamento delle persone, ma anche sul modo di funzionare dei loro cervelli (per l'articolo completo: Journal of Cognitive Neuroscience. )



Insomma, una condizione che il nostro cervello può riconoscere e parzialmente affrontare.
Ma ecco il dilemma, ben evidenziato anche dallo studio: da soli non si risolve.
L'essere soli è la pratica traduzione di una mancata ricompensa percepita, qualunque sia la sua natura.
Così come Pratt nel film che ricerca spasmodicamente la compagnia, così anche noi seguendo l'assunto aristotelico dell'uomo come animale sociale non facciamo altro che tentare di ricompensare lo striato ventrale dando vita alle relazioni sociali.

Talvolta però la pesantezza del nostro flusso di pensieri è foriero di inconscia necessità all'isolamento, nonostante isolarsi e stare da soli credo non si traduca con solitudine.
Ritengo di definire la solitudine come il sentimento provato di chi si senta socialmente isolato, quando c'è un mancato collegamento tra le relazioni sociali desiderate e le vere relazioni. Ed ecco la pratica dimostrazione di quanto afferma anche lo studio citato poc'anzi, riconoscendo bene cosa la solitudine può fare al nostro cervello
Ad esempio, può renderlo super attento alle possibili minacce e bravo ad auto-preservarsi. Sentirsi isolati può significare che hai bisogno di reinterpretare la visione delle tue interazioni sociali, Per esempio, se senti che un amico ti ha mancato di rispetto, chiedi a te stesso, prima di tutto, se sei stato ostile o in 'modalità isolamento' e se il tuo amico ha solo reagito al tuo comportamento. Perché credo sia necessario capire che potresti essere tu il responsabile di tutto questo.


Un mix non facile da sbrigliare, una matassa a dir poco intricata.
Ma allora, come trovare la spinta giusta per emergere?
Come trovare la chiave di volta per risolvere la spirale della solitudine che può intaccare ciascuno di noi, in un mondo che ti offre solo apparenti palliativi all'isolamento?


Non fraintendetemi, ma sono un'inguaribile romantico: credo ancora nel salvifico ruolo di una sana e profonda relazione.
Porsi nel mood ideale per ampliare sé stessi così da poter conoscere qualcuno che condivide i tuoi interessi, che si pone come te nell'affrontare la vita o che comunque ti fornisce una visione diversa ma adottabile, penso abbia un peso enorme.
Non troveremo su un piatto d'argento il mood giusto, ma dobbiamo ricercarlo con pazienza: ritengo però, che la semplice consapevolezza che non siamo vittime passive e che abbiamo un po' di controllo della situazione e che possiamo cambiare la nostra condizione cambiando i nostri pensieri, le nostre aspettative e i nostri comportamenti possa avere un effetto incredibile.

Un primo passo quindi porsi con il giusto approccio.
E poi?
Poi aspettarsi il meglio. Chiaro, è importante concedere agli altri il beneficio del dubbio, però più riusciamo a scoprire buone qualità in noi stessi, più riusciamo a vederle negli altri.

Generalmente, siamo soliti perderci nel moto lento e paranoico di un mondo immaginario in cui non esiste un unico punto di vista, non esiste la ragione o il torto, esistono le ragioni di ognuno, la vita di ognuno, che non si incontrano, non si capiscono, sono semplicemente differenti.

Così dal paradosso passiamo all’incomunicabilità, perché l’impossibilità di toccarsi e di vivere in una dimensione che non è la propria, rende gli uomini assolutamente muti e incapaci di comprendere le realtà differenti che li circondano e questo li spinge a un maggiore isolamento verso tutto e tutti.

Se traducessimo questo pensiero con un'immagine userei Relatività di Escher.




Nonostante il caos, in questo percorso visivo l'autore ci fa intravedere una speranza: una coppia che cammina abbracciata.

Quindi esiste la possibilità di ritrovarsi nella prospettiva, di muoversi sullo stesso pavimento, perché l’amore fa ritrovare le strade, è il punto d’incontro per un vista comune.

Diventa la modalità concreta per cercare di maturare insieme un modo convinto per raggiungere un risultato comune, che diventa il frutto significativo del processo di canalizzazione della propria identità con quella dell'altro. Credo nel necessario rapporto delle proprie intuizioni con un'altra persona, meglio se è quella di cui maggiormente ti fidi. E' forse quindi attraverso questo confronto che, le lacune lasciate vuote da un iniziale rapporto con una realtà che non ci soddisfa e da cui rifuggiamo, potranno essere colmate dal delizioso frutto di vicendevole scambio così da poter rompere i sigilli della tua camera di isolamento e godere così della vita.

giovedì 24 agosto 2017

In tutte le realtà naturali vi è qualcosa di meraviglioso (Aristotele)

Le ore dilazionate del periodo estivo ci danno la chance di gustare piccoli dettagli di cui prima non ne eravamo pienamente consapevoli..

http://www.ilsuperuovo.org/leclissi-solare-mondo-simbiosi/


Traduco questa meravigliosa verità con un video, trovato casualmente in rete che delinea le aspettative di un viaggio futuro

Scotia Simphonia

Enjoy it!

domenica 28 maggio 2017

Stream of consciousness [puntata 1]




Respira, respira, un respiro profondo.
C'è il rischio di affogare, calma.
Smettila di boccheggiare: ricordati di respirare.Alle porte di questa nuova sessione estiva non posso far altro che prendere un respiro.
Sono in momenti come questi che la tensione si fa così palpabile che rende necessaria una via d'uscita, una valvola di sfogo, e perché non rilasciando a cascata parole, apparentemente prive di un motivo?
Necessità, bisogno, esigenza.

Avendo passato molto tempo lontano da qui, mi è balenata in testa l'idea di intervallare sporadici interventi su neurofigaggini (colpa mia, avrei diverse cose da raccontare ma mai il tempo per organizzarli in un discorso lineare) a personali flussi di coscienza liberi, senza limiti né imposizioni ma solo per il gusto di farlo: presente James Joyce?
Ecco, uno sviluppo così, magari un pò più comprensibile.

Ok, ora non boccheggio più. Ho ripreso un buon ritmo eupnoico.
E via, il flusso parte: ansia, schemi, rigidi programmi, l'estate dalla finestra..ma tempo per pensare ne abbiamo?
Voglio dire, liberare qualsiasi blocco e gustarci l'intricato mondo della nostra mente, libera e vera, ci è concesso in un contesto di vita frenetico e senza via di scampo?
Sono convinto che ciascuno si debba impegnare per ritagliarsi ogni giorno una fettina di tempo e..pensare. Sì, pensare. Non lo facciamo. Ci preoccupa di più 'l'agire'. Ma tutto questo 'fare', confessiamolo, è il più delle volte un coacervo di azioni meccaniche, che proseguono nel loro moto per forza di inerzia, E invece dovremmo tutti recuperare un legittimo spazio per ragionare, riflettere, considerare, meditare, ponderare, rimuginare, scervellarci, speculare.
Gli antichi romani parlavano di otium, termine che oggi ha assunto un significato negativo, di cui allora comprendevano il valore. Bertrand Russel, il famoso filosofo inglese, scrisse persino una raccolta di saggi, Elogio dell'ozio, e ancora A. Einstein affermò che l'immaginazione è più importante della conoscenza.
Un pò di tempo per noi quindi? Giusto per liberarci dalla rigidità che spesso limita le nostre vite?
Io lo farei, o almeno voglio provarci.

Bene, ho finito.
Respiro..
Buonanotte.