Degenerazione walleriana.
Fenomeni degenerativi che interessano la fibra nervosa in seguito all'interruzione della sua continuità con il corpo cellulare con conseguente riassorbimento del segmento distale del nervo stesso allorchè sia stato sezionato in tutto il suo spessore.
Avete mai riflettuto su quanto possa essere fragile un nervo periferico?
Un trauma, di entità più o meno intensa, e il nervo perde la sua continuità.
Non va incontro a morte cellulare, ma si ha appunto una compromissione della parte distale al traumatismo che coinvolgerà anche la porzione prossimale nel caso in cui non intervenga un processo di rigenerazione.
Degenerazione walleriana.
Il nervo è l’unico componente del corpo umano che reagisce in questo modo davanti a un evento traumatico, come se non volesse davvero abbandonarsi all’inevitabile esito di compromettersi definitivamente, come se volesse comunque darsi una possibilità, di poter sfruttare qualsiasi chances che l’organismo gli propone per sopravvivere.
La degenerazione walleriana potrebbe essere la parola fine alle possibilità di riscatto del nervo così come aprire la speranza di una rigenerazione fattibile solo se le guaine esterne al nervo rimangono integre.
È un po' come l’essere umano.
Sottoposto a urti d’impatto variabile, spesso rifiuta di andare incontro ad un’inesorabile resa, quanto piuttosto accetta il compromesso di una degenerazione walleriana di alcune sue parti con la porta sempre aperta ad una rigenerazione redentrice piuttosto che abbandonarsi completamente all’impossibilità di recupero.
Con gennaio ho concluso il mio ultimo mese di tirocinio post laurea in previsione dell’esame di abilitazione che sosterrò a fine febbraio.
Ho frequentato l’ambulatorio di un medico di medicina generale.
Estremamente eccitante al pari della precedente esperienza in chirurgia dei trapianti?
Curiosa e intrigante come il mese di novembre nel reparto di Malattie Infettive?
No, direi di no.
Non sono proprio gli aggettivi migliori per etichettare questo gennaio insolitamente soleggiato passato nel mio cantuccio dietro una scrivania.
Tuttavia, ancora una volta, ho dovuto ricredermi.
Umanamente prezioso.
Emotivamente ricco.
Al di là dell’ovvio, al di là del prevedibile.
Nella noiosa iterazione di pratiche burocratiche, rimedi per il mal di gola, ricette per visite specialistiche e auscultazioni di bronchiti stagionali, sono riuscito a trascendere la quotidianità scandita da orari d’ufficio ai quali non ero per nulla abituato.
Scavalcare queste note di facciata per carpire il senso vero della medicina di base, quel senso che dovrebbe essere comune a tutte le sfaccettature della medicina ma che talvolta viene in parte o completamente eclissato in favore di un approccio più specialistico.
Sto parlando della cura del paziente.
Dal latino, cura. Derivato dalla radice ku-/kav- osservare. Da confrontare con il sanscrito kavi, saggio.
La cura è responsabilità.
La responsabilità che segue l'osservazione. Che sia una terapia medica, una preoccupazione, o un accudire il progetto di una vita altrui.
La cura è responsabilità.
In effetti sembra che sia il lato attivo, il paradigma dell’umanità stessa, di un’umanità salda nel suo più profondo essere, un’umanità non fatua, non impalpabile, ma concreta.
Riconoscere il bisogno di chi si siede dall’altro lato della scrivania.
Che ti guarda con occhi imploranti, che nasconde nella richiesta di un analgesico più forte del FANS di turno una necessaria e urgente impellenza di parlare con qualcuno per poter trovare un aiuto contro il dolore che sia più incisivo, che non permetta di arrendersi.
Hai il dovere morale, la responsabilità di incrociare questi sguardi.
Degenerazione walleriana.
Ho avuto modo, ho avuto la fortuna di osservare l’umanità più fragile, più autentica.
Negli occhi di una giovane mamma disperata per il figlio cocainomane.
Negli occhi fieri ma velati da lacrime quasi invisibili di un anziano vedovo, spaventato dalla solitudine.
Negli occhi terrorizzati di una neomamma immigrata, preoccupata dalla tosse persistente del neonato figlioletto.
Negli occhi coraggiosi, capaci di darsi un margine per rigenerarsi.
Le lesioni neuroaprassiche sono quelle in cui il danno colpisce specificatamente il rivestimento mielinico delle cellule di Schwann mentre viene preservata sia la continuità assonale che le altre guaine del nervo.
Clinicamente e strumentalmente la conduzione nervosa è rallentata o assente, sebbene essa sia preservata prossimalmente e distalmente alla lesione. Queste lesioni sono generalmente localizzate e rappresentano il grado più lieve di lesione nervosa. Esse sono reversibili, con pieno recupero della funzione che solitamente si verifica entro settimane o alcuni mesi dal trauma.
È la storia di Gino, vedovo da 3 anni, che dissimula la solitudine del suo piccolo appartamento in un vecchio condominio con numerose attività di volontariato per la parrocchia, per il gruppo locale degli Alpini, per i nipotini da accompagnare a scuola e al pallone. Venire dal medico, quindi, è un modo come un altro per ritrovare una faccia amica, per poter sì descrivere quella tosse fastidiosa che non lo fa dormire la notte, ma sopratutto per poter ricevere un sorriso, un segno di umana vicinanza.
Nonostante tutto.
La conduzione nervosa è rallentata, il danno c’è. Ma le possibilità di riscatto ci sono, la lesione non ha compromesso integralmente la capacità di condurre.
Le lesioni assonotmesiche sono più severe e sono caratterizzate da una interruzione degli assoni con preservazione delle guaine più esterne (endonervio, perinervio ed epinervio). Si verifica una degenerazione walleriana diretta ed il recupero è legato al processo rigenerativo assonale. Il recupero è completo anche se i processi rigenerativi sono lenti (circa 1 mm al giorno con ampie variabilità da soggetto a soggetto a seconda dell'età e dello stato generale di salute) e legati alla distanza tra la sede del trauma e quella dell'attività del nervo.
È la storia di Amina, neomamma senegalese, spaventata del malanno del suo piccolo. Ne ha subite troppe e fidarsi del parere di un quasi sconosciuto dietro una scrivania, non è immediato, non è facile.
Il recupero è legato al processo rigenerativo assonale, completo anche se molto lento.
Saranno le parole del medico, il suo modo di porsi, professionale e amichevole, che potranno forse fare breccia nelle imponenti difese che Amina ha creato attorno a sé per quella lesione che le ha tolto la facoltà di essere serenamente sé stessa e poter così condurre liberamente.
Recupero lento, ma completo. Le parole del medico si traducono in consigli che accetta di buon grado, perché sa che così facendo, suo figlio potrà guarire.
Le lesioni neurotmesiche rappresentano il grado più severo di lesione di un nervo periferico. Queste lesioni sono ulteriormente suddivise a seconda se è stato leso l'endonervio (3º grado), oppure l'endonervio e il perinervio (4º grado) oppure l'interruzione è stata totale (5º grado). In questi casi la rigenerazione spontanea è possibile (nel 3º grado) ma improbabile a causa dei fenomeni cicatriziali che avvengono all'interno dell'epinervio nei primi due gradi di neurotmesi, e impossibile nell'ultimo grado. Queste lesioni perciò richiedono una
riparazione chirurgica, che deve essere effettuata in tempi rapidi anche se non in urgenza e questo per evitare che insorga la degenerazione degli assoni a monte del trauma e al conseguente disfacimento del neurone.
È la tragica vicenda di Fiorenza che vede il suo unico figlio 23enne, di belle speranze, nella vorticosa spirale della tossicodipendenza, orrida bestia che trascina e rovina anche il più forte degli esseri umani.
È una lesione netta, grave, quasi irrimediabile. Il nervo prova a risolvere il problema da solo, ci tenta in tutti i modi, ma non sembra esistere alcuno spiraglio per potersi rigenerare. L’unica possibilità è aspettare l’intervento del chirurgo, aspettare l’intervento dello specialista che potrebbe apportare con urgenza e con rapida professionalità un aiuto insperato per il ripristino della funzione.
Si, le cicatrici saranno inevitabili ma la capacità di condurre potrebbe essere garantita. Ed è così che Fiorenza ha trovato, tramite il medico di base, una realtà comunitaria che avrebbe potuto accettare il figlio già dall’indomani, individuando così in questa associazione, il proprio chirurgo che avrebbe provato a riallacciare i frammenti della lesione.
C’è sempre uno speranzoso barlume al traumatismo, una via d’uscita per la degenerazione walleriana, peculiare e altrettanto inevitabile.
Assaporare la medicina generale mi ha donato questo.
Un regalo gratuito, tanto inaspettato quanto unico.
Interfacciarsi con la profondità dell’uomo.
Fragile.
Inequivocabile.
Granitica.
Enigmatica.
È come trovare il modo d’andare fuori misura nella misura, di garantire liceità all’umana empatia fornendo sempre la possibilità di individuare nella misura del proprio ruolo il mezzo per favorire la rigenerazione dal traumatismo.
Sconfiggi la degenerazione walleriana, anche nel tuo piccolo.
Non importa il grado della lesione, un modo per ricomporsi esiste.
Dentro di te, vicino a te.
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