Oggi, a quasi 24 ore di distanza, ho solo bisogno di condividere, di condividere con tutti voi la notte tra il 9 e il 10 dicembre scorsi.
Una notte costellata da pianti sinceri e sorrisi velati.
Una notte scandita dal bip di un respiratore e dall'acre e pungente odore di un bisturi elettrico.
Una notte di verde tinta, dalle divise agli occhi ripieni di speranza degli operatori.
La notte del mio primo espianto di organi.
Da inizio mese sto frequentando l'Unita di Chirurgia Generale e dei Trapianti addominali presso l'Ospedale di Bergamo, la mia cara terra natia, per i tirocini pre-esame di stato.
Un dovere tanto scontato quasi inizialmente affrontato, vi confesso, non con grande entusiasmo.
Si, è sempre una branca chirurgica in cui non si trascorre la giornata a aspettare che l'antibiotico faccia effetto (non me ne vogliano i cari infettivologi!) ma anzi, con un certo ritmo e un'altrettanta dinamicità si alternano interventi di tutti le forme e colori: ernie, colecistectomie, emorroidi, qualche volta un epatectomia o una dcp, interventi in laparoscopica..ho detto ernie?
Interventi che proprio non si avvicinano alla delicatezza di un'asportazione di un tumore cerebrale o alla concitata evacuazione di un ematoma subdurale acuto!
Poi dai, la clinica non è minimamente comparabile a quella neurologica: meno intrigante e altrettanto poco curiosa!
No no, non fa per me. Dicevo una settimana fa.
Illuso, dico ora.
Non preoccupatevi, la neurochirurgia non si tocca: il primo amore è inarrivabile.
Ma, nessuno ci vieta di provare emozioni forti, credo infatti sia necessario riservarsi il diritto di sorprenderci, di apprezzare qualcosa di nuovo, di ricrederci.
Sempre, indipendentemente dagli stimoli esterni o da quello che può farci credere la gente.
Ma torniamo a quel ricordo.
E a quel messaggio su whatsapp: 'Sala, 21.30. A dopo.'
Senza bisogno di sprecare parole, chiaro, conciso, chirurgico (appunto!).
Quella giornata avevo avuto il sentore che sarebbe successo qualcosa: accennavano a una disgrazia accaduta a una giovane mamma che se, ritenuta idonea, sarebbe stata la candidata ideale per un espianto multiorgano data la sua anamnesi patologica completamente muta.
E quindi quel messaggio nascondeva tra le righe il senso vero della chiamata: sarei dovuto andare in sala a guardare l'espianto dalla magnifica panoramica del mio solito angolino.
Si, qualcosa di nuovo certo ma il primo pensiero dopo una giornata passata tra medicazioni VAC, giro in reparto, compilazione di diari clinici e lettere di dimissioni, è dormire. Semplicemente.
Si, non nego di essere anche io un grande amante del piumone.
Ma un impegno è un impegno, forza e coraggio: copriamoci bene e usciamo.
Freddo, quel freddo che ti penetra dentro e che ancora una volta ti ricorda dove saresti stato meglio.
Cerco di non farci caso e rapidamente arrivo in ospedale, quasi lugubre a quell'ora.
Con passo svelto mi preparo e vado in sala operatoria dove ad attendermi c'è la specializzanda di turno che, con la solita buona volontà (Dio benedica sempre gli specializzandi!), mi descrive come e cosa avverrà di lì a poco tempo, di come in un battibaleno un turbinio di persone, di mani affaccendate occuperanno la sala operatoria.
Ed infatti, ho dovuto aspettare pochi minuti per vedere la sala stracolma di figure, dagli accenti più disparati provenienti dagli antipodi della nostra Penisola! Ottimo, non riuscirò a vedere nulla manco dal mio angolino, si questo è stato il mio pensiero.
Triste e banale direte voi, sincero dico io.
Sciocco, aggiungo io. A posteriori.
Tra la nostra equipe per l'espianto di fegato, pancreas e reni, quella per il cuore, quella per i polmoni oltre che al personale di sala saremo stati 13/14 persone! Tutti dediti al loro compito, tutti a lavorare in concerto per garantire l'esecuzione di una sinfonia perfetta. Solo vedere tutti questi professionisti che hanno deciso di rinunciare a una banale notte di sonno per poter dare una speranza di vita migliore ad almeno 6 persone (in base agli organi espiantati), mi fa abbandonare quel sentimento di inedia che mi aveva accompagnato fin dentro quella stanza piastrellata.
Tempo di trovare un pertugio per poter ammirare estasiato il lavoro iniziale dei cardiochirurghi che.. 'Ehi tu!' - al che io mi giro guardando se ci fosse qualcuno dietro di me -
'Dice a me dottoressa?'
'E certo! A chi altro? Su forza vai a lavarti, non ti ho mica chiamato per fare lo spettatore al cinema!'
Ah, ok.
Vorrà farmi vedere dalla prima fila e non dalla balconata.
Gentile.
Mi lavo, mi vesto (e puntualmente mi sento in imbarazzo quando l'esperta ferrista, con la voce di chi ne ha viste tante e ne ha affrontate altrettante, si rivolge a me 'lei dottore, mi scusi, che taglia per i guanti?'..quanto ci vuole per abituarsi: chiedo aiuto agli esperti!) e mi avvicino al tavolo operatorio.
I cardiochirurghi hanno aperto il torace e hanno fatto una prima ispezione, confermando quanto evidenziava la TC totalbody eseguita precedentemente per cui non si evince alcun segno di patologia.
Ora tocca a noi, cioè a loro: specializzanda e strutturata che devono fare la medesima valutazione a livello addominale.
Io, braccia conserte, e guardo.
La giovane specializzanda inizia a fare l'incisione e la strutturata incrocia il mio sguardo: 'Embè, non la assisti? Su chiedi alla ferrista cosa ti serve e lavora.'
Spronato a prendere parte a qualcosa di grande, entro in modalità battaglia.
Chiedo una pinza e l'aspiratore.
Erano le 22:15
Metto l'ultimo punto per chiudere la cute, alzo gli occhi, ho davanti un orologio gigante.
02:45
Ah, quattro ore e mezza in trance. Chi sente più il sonno, la stanchezza?
Non io. Non in quel momento.
Vi mentirei se ora mi dilungassi a raccontarvi filo per filo l'esecuzione dell'intervento.
I singoli dettagli tecnici ora sono immersi in un nebuloso ricordo che sa di miracolo.
E' stato tutto così concitato e bellissimo.
Ma anche immensamente triste e buio.
Riflettete un attimo: una mamma attraversa le strisce e viene investita mentre passeggia con il figlio di 6 anni.
Cosa ci può essere di più odiosamente straziante di una vita spezzata così?
Forse l'unica panacea è capire il senso profondo di quello a cui ho avuto l'onore di partecipare.
Non voglio dilungarmi in elucubrazioni sull'etica della donazione degli organi, non è questo il posto né il momento.
Posso dirvi questo però. Si, sinceramente posso confessarvi che vedere un cuore battere, incanulato per essere perfuso con una soluzione ad hoc potendo così clampare i grossi vasi, sezionarli con buon margine, asportarlo dalla cassa toracica, sapendo che potrà ridare vita ad un altro essere umano è un'emozione che a parole non si descrive. E lo stesso per gli altri organi, riconoscere le strutture vitali, vascolari e non, che devono essere isolate perchè si possano asportare con il pezzo.
Riconosci, isola, lega, seziona.
Riconosci, isola, lega, seziona..
Movimenti che diventano automatici, una ripetitività che ha il sapore di speranza.
Assume i connotati del dono più grande che un essere umano, anche al termine improvviso della sua esistenza, può elargire a chiunque ne abbia bisogno.
Non scontato e altrettanto meraviglioso.
Dopo sei anni di studi e tirocini talvolta affrontati con leggerezza, questa notte ho avuto la lezione più vera che tutti questi anni non hanno potuto darmi.
Ricordarsi sempre di rinnovare il diritto di sorprendersi, di assaporare la portata monumentale del miracolo del dono, del valore di una vita.
Io l'ho fatto la notte scorsa.
E non me lo dimenticherò facilmente.
È sempre bello farci impressionare da ció che ci capita, per viverlo al massimo! Noi studenti siamo così presi dalla novità...ti auguro che questa meravigia non diventi solo abitudine.
RispondiEliminaFanya