È l’ultimo giorno dell’anno.
Puntualmente è il momento di quella sottospecie di rituale che prende le forme di ansiogene revisioni e speranzose promesse, personali propositi e ambiziosi giuramenti.
Una cornucopia di elenchi puntati sulle nostre note digitali e tante dita incrociate per quello che verrà.
Elenchi che trasudano aspettative, desideri profondi.
Se mi mettessi anche io ad enumerarvi i miei punti programmatici sarebbe troppo ovvio, scontato come il programma elettorale del più vecchio dei candidati.
Esame di stato a febbraio.
Da superare.
Un lavoro temporaneo.
Da trovare.
Esame per l’ingresso in specializzazione. Luglio di fuoco.
Da superare.
Continuare con quel lavoretto fino a ottobre/novembre, periodo presunto di inizio specializzazione.
Tassativo.
Trovare un buco per sopravvivere nella città che sarà il nuovo posto che chiamerò casa.
Il prima possibile.
Nel frattempo studia, studia forte non solo come preparazione ai test ma perché quando sarà quel primo giorno, quel fatidico primo giorno, voglio essere pronto.
Necessario.
È un indice di eventi che inevitabilmente scandiranno un anno ricco, come pregnante è stato l’anno che mi lascio alle spalle con quella corona d’alloro appesa in camera a ricordarmi come un monito sempre vivo, il traguardo che ha sancito la partenza di un nuovo capitolo.
Quello su cui però vorrei soffermarmi non è tanto questo insieme di situazioni, quanto piuttosto ciò che questo scatena.
Impetuosamente.
Vertiginosamente.
Meravigliosamente.
Inquietudine frammista a necessità.
Bisogno di scoprirsi davvero.
Non fraintendetemi e non partiamo spaventati o terrorizzati per quello che verrà delineato.
Si, l'inquietudine è la condizione, che più di tutte in questi casi, si traduce in un senso di puro disorientamento, quella sensazione che ci mette in guardia sullo stato di stabilità, o instabilità, del nostro disagio e ci fa andare alla ricerca di un nuovo orientamento.
Il disorientamento è una macchina generatrice, dalla quale originano improvvisamente riflessioni sulle decisioni da prendere nella vita.
Nuove situazioni, nuovi problemi e nuove realtà mantengono l'orientamento in un'inquietudine costante.
Per questo l'inquietudine è l'atmosfera di base dell'orientamento, il cardine fermo della scelta.
Chi mi conosce bene, sa che programmare, stabilire in maniera ferma e indissolubile i singoli passi da percorrere, scegliere minuziosamente i pezzi che possano combaciare nell’intricato puzzle della quotidianità, definisce al meglio il mio personalissimo disturbo ossessivo.
Limato con anni di sorprese e puzzle non perfetti, questo mio atteggiamento totalitaristico verso la programmazione è andato via via modellandosi ad un approccio più realistico. Tuttavia, non posso prescindere dall’organizzare e vedere come tutto potrebbe non collimare con le aspettative: non è facile, mi disorienta.
Sguardo inquieto verso l'orizzonte, mai come limite ma come vivida opportunità |
Completamente.
Se, come in questo anno che verrà, le situazioni non sono né prevedibili né calcolabili al 100% come invece poteva essere nei precedenti 25 anni, ecco ritornare prepotentemente l’inquietudine intorno alla domanda se ci si è orientati correttamente prendendo decisioni giuste; l'inquietudine può trasformarsi in paura di non aver preso la decisione opportuna. E la paura può degenerare, in casi estremi, in disperazione se il dubbio nei confronti delle proprie possibilità d'azione paralizza l'azione stessa.
Si ma che quadro apocalittico, meno male dovremmo iniziare l’anno nuovo con una buona dose di speranza e desiderio di affrontare qualunque sfida!
E in effetti, l’inquietudine non è solo quello. Sta a ciascuno di noi direzionare con forza e vigore il senso di questa dispensatrice di stimoli.
Ho scoperto, con mio sommo piacere e grazie a un’amica pensatrice, che le parole di Heidegger in questo caso concentrano appieno questo vorticoso flusso di pensieri: era infatti solito dire che l’inquietudine è l’origine di tutto, da cui nessuno di noi può prescindere e che è necessario come rumore di fondo, come compagno indivisibile della nostra quotidianità.
Da qui quindi due importanti concetti, tra loro concatenati.
Rileggiamo.
Respiriamo.
Viviamo.
Sul fondo dell'animo vibra un senso continuo di insoddisfazione, una specie di soglia di inquietudine: finché questa rimane a un livello basso, è tollerabile e persino positiva, giacché costituisce una molla all'azione e al mutamento e se possibile al miglioramento delle proprie condizioni. Quando però il livello dell'inquietudine sale troppo in alto, provoca una situazione di malessere che può trasformarsi in dolore intenso.
Come quindi essere in grado di schermare tale forza primordiale?
Io credo, anzi, ne sono convinto, che la risposta sia antagonizzando uno dei cardini del pensiero pirandelliano.
Ripensiamo a chi siamo.
L’essere umano non sa quasi mai cos’è! Se io chiedessi a qualcuno, così, di punto in bianco “Chi sei? Cosa ti inquieta?”, sono sicuro che difficilmente troverei un’anima così sicura di sé, ma perché l’inquietudine, il dubbio generato da quello che ci circonda, spesso soverchia il nostro essere e ci obbliga a vestire delle maschere.
Ecco, vi dicevo di Pirandello.
E di come un umile dissenso alla sua teoria delle maschere possa garantirci forse una visione ottimistica dell’inquietudine.
Indossare una maschera, una seconda pelle è nascondere agli altri e a sè stessi il vero io. È come un velo di Maya che non consente di conoscere la propria personalità. Nella realtà quotidiana gli individui non si mostrano mai per quello che sono, ma assumono una maschera che li rende personaggi e non li rivela come persone. La maschera non è che simbolo alienante, indice della spersonalizzazione e della frantumazione dell'io in identità molteplici, e una forma di adattamento in relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce un determinato evento.
Ma se osassimo togliere questa maschera?
Se davvero affrontassimo con coraggio le nostre scelte, in quel mare magno di disorientamento che un nuovo anno può portare con sé?
Sono fermamente convinto che se adottassimo questa intrepida iniziativa, l’inquietudine di cui sopra, madre delle più ansiogene delle paure può in realta tramutarsi in un’amorevole genitrice della spinta più sincera a crearsi il proprio domani.
Pensateci un attimo.
Trova quel pertugio, per essere te stesso e liberarti dalla maschera |
Se ognuno di noi vivesse davvero appieno quello che l’oggi regala gratuitamente, senza aspettarsi nulla in cambio, togliendo qualsiasi schermo che filtra il nostro essere, non riusciremmo a vedere l’inquietudine che smuove l’ordinario come la forza motrice per un quotidiano straordinario?
Forse è troppo.
Ed è solo un pensiero di un vanesio che straparla.
O forse no.
È il necessario bisogno, una primordiale necessità.
“Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d’essere per me, chi ero io?”
(L. Pirandello)
Superiamo il limite che l’inquietudine figlia della novità può imporci, attraverso il coraggioso dispiegarsi del nostro vero essere, della rivelazione della nostra anima, lontana dalle esigenze di mascherarsi e nascondersi come il mondo oggi ci fa credere sia fondamentale.
È forse questo l’augurio più sincero che mi impongo per questo 2020 carico di misteriosi punti interrogativi e altrettante meravigliose scoperte da condurre tra le pieghe del tempo e dello spazio.
Ed è l’augurio che voglio rivolgere a te, che con estremo coraggio e ardita follia, ti sei lasciato trasportare da questo fiume in piena che è la mia coscienza tradotta a parole.
È l’augurio che durante quest’anno tu possa riscoprirti come davvero te, sicuramente attraverso il raggiungimento di numerosi obiettivi, ma soprattutto tramite il coraggio di dedicarti del tempo per conoscerti, per indagare a fondo nella bellezza della tua anima e scorgere laggiù in fondo il tuo vero io.